(alecani/Flickr)

Nei Progress Report sull'allargamento, si profila un ingresso per i nuovi membri dell'area attorno al 2020. Tranne che per la Croazia, forse all'ultimo biennio d'attesa. E la Turchia, senza pronostici. Ecco ostacoli e successi per ogni Paese. La crisi raffredda i 27: tolto il visto per albanesi e bosniaci, ma la misura sarà revocabile

11/11/2010 -  Alvise Armellini Bruxelles

Come ogni autunno, i Paesi che bussano alle porte dell'Europa hanno ricevuto la loro pagella annuale da Bruxelles.

Ma di fronte ai rapporti pubblicati il 9 novembre dalla Commissione europea c'è un'Europa con sempre meno voglia di allargarsi, presa com'è da problemi interni come la crisi del debito pubblico e l'ennesima modifica dei suoi trattati.

Il Commissario Ue all'allargamento, Stefan Fule (ecrgroup.eu)

Non a caso, il commissario Ue all'Allargamento, il ceco Štefan Füle, ha insistito sul tema della “credibilità,” sottolineando che se da una parte i Paesi candidati devono compiere tutti gli sforzi richiesti prima di entrare nel club, i Paesi Ue devono attenersi alle regole del gioco lasciando entrare chi ha fatto il proprio dovere.

Turchia, completato solo un capitolo su 35 per l'adesione

Il messaggio riguarda in primo luogo la Turchia, Paese che ha iniziato i negoziati di adesione cinque anni fa ma che rimane lontanissimo dal traguardo. A frenare i colloqui non ci sono soltanto problemi politici di prim'ordine come la questione cipriota – con il governo di Ankara impegnato in un braccio di ferro sul non riconoscimento dei greco-ciprioti fino al loro ricongiungimento con i turco-ciprioti – ma anche la manifesta ostilità di gran parte dell'opinione pubblica europea e dei governi dei pesi massimi dell'Ue, Francia e Germania.

Dei 35 capitoli in cui sono suddivisi i colloqui con l'Ue, ad oggi la Turchia ha avviato i negoziati su 13 dossier, concludendoli su uno. A causa della controversia cipriota, l'apertura di altri otto capitoli è bloccata, dal 2006. E la commissione ha ribadito che “in assenza di progressi” la situazione resterà tale.

Ma in aggiunta, Francia e Cipro hanno congelato informalmente un'altra decina di dossier, lasciando ai negoziatori di Bruxelles e Ankara ben poco su cui poter lavorare. “Nessuno può essere soddisfatto del ritmo attuale dei colloqui” ha riconosciuto Füle.

Nel tentativo di rassicurare i "turco-scettici", il commissario si è impegnato a non far entrare “nessun Paese nell'Unione europea prima che sia pronto al 100 per cento”. Al tempo stesso ha ribadito “l'urgenza” per la Turchia di normalizzare i rapporti con i greco-ciprioti, dal 2004 membri Ue e quindi coperti dagli accordi commerciali che imporrebbero ad Ankara di aprire loro porti e aeroporti.

Il lavoro a metà del governo Erdoğan sui diritti civili

Sul piano tecnico, il giudizio di Bruxelles sugli sforzi compiuti da Ankara è tutto sommato incoraggiante. Si riconosce al governo islamico moderato del premier Recep Tayyip Erdoğan di compiuto “un importante passo nella giusta direzione” con gli emendamenti costituzionali approvati per referendum a settembre, che hanno riformato la magistratura, esteso i diritti sindacali e delle donne e creato basi giuridiche per la creazione di un ombudsman.

Haghìa Sofia, a Istanbul (David Spender /Flickr)

Tuttavia, per Bruxelles il lavoro rimane a metà: servirebbe “una nuova costituzione civile” che superi definitivamente quella nata dal golpe militare del 1980, da approvare possibilmente senza gli scontri feroci con l'opposizione laica e l'esercito che hanno accompagnato le ultime modifiche.

E soprattutto, Erdoğan e il suo governo dovrebbero impegnarsi di più per tutelare i diritti delle donne e le libertà sindacali, di espressione, di religione e dei media, nonché per promuovere lo sviluppo socio-economico della minoranza curda.

Se Ankara guarda a Teheran. Così l'Ue chiede una scelta di campo

Un capitolo a parte meritano gli avvertimenti sulla politica estera: dopo la rottura di giugno, con il voto contrario della Turchia all'inasprimento delle sanzioni Onu contro l'Iran, la Commissione ha spiegato che il maggiore attivismo di Ankara sulla scena internazionale è bene accetto, ma solo “a patto che sia complementare al processo di adesione e coordinato con l'Ue”.

Il Montenegro è ufficialmente candidato, l'Albania nelle secche istituzionali

Sul fronte balcanico, la notizia principale è il parere positivo di Bruxelles alla concessione dello status ufficiale di candidato per il Montenegro, e la parallela bocciatura dell'Albania a causa degli scontri tra maggioranza e opposizione che paralizzano il parlamento da oltre un anno.

Per Podgorica si tratta dell'ennesimo piccolo passo: ora i governi Ue dovranno decidere se confermare l'orientamento della commissione, e in una fase successiva valutare se avviare i negoziati veri e propri, previa altra consultazione con l'esecutivo Ue.

Croazia, l'Ue ancora non indica date. Serbia, sforzi premiati

In centro a Zagabria (parole al vento/Flickr)

Per la Croazia, Bruxelles ha certificato il raggiungimento dello “stadio finale” dei negoziati, senza impegnarsi su alcuna data di adesione, mentre la Serbia – che il mese scorso aveva ottenuto l'avvio dell'analisi tecnica sulla sua domanda di ingresso dopo aver addolcito la propria posizione sul Kosovo – si è vista riconoscere gli sforzi di riconciliazione con Croazia e Bosnia e “qualche risultato positivo nella lotta contro la criminalità organizzata.”

Tuttavia, guardando al “dialogo” che l'Ue dovrà mediare nei prossimi mesi, la Commissione ha chiesto a Belgrado di “essere più costruttiva” con Pristina per quanto riguarda la sua partecipazione a forum di cooperazione pan-balcanica.

Inoltre ha ricordato alle autorità serbe l'obbligo di cooperare con il Tribunale penale internazionale dell'Aia (Tpi) nelle ricerche di Goran Hadžić e Ratko Mladić.

Macedonia, il nome introvabile e il dossier corruzione

Sulla Macedonia, la commissione si è limitata a constatare che il cammino resta bloccato dalla disputa sul nome con la Grecia, mentre il Kosovo ha ricevuto promesse su accordi commerciali e abolizione dei visti - malgrado le difficoltà legate al fatto che cinque Paesi dell'Ue non lo riconoscono - ed esortazioni ad affrontare le emergenze legate a corruzione, criminalità e riciclaggio.

Bosnia al palo per le lotte interne

Per i riottosi leaders della Bosnia, invece, una tirata d'orecchi per la paralisi in cui hanno lasciato scivolare il Paese.

“Lo sviluppo di una visione condivisa sul destino complessivo del Paese e sulle riforme legate all'Ue rimane essenziale per compiere ulteriori progressi verso la membership” ha ammonito Bruxelles, lasciando intendere che fin quando i politici continueranno a litigare, tra minacce di secessione serbe e contro-reazioni musulmane, il loro Paese resterà al palo.

Sarajevo vista dal cimitero ebraico (Indiawest/Flickr)

Nel complesso, ad esclusione della Croazia – il cui ingresso è previsto entro il 2013 – e dell'Islanda, che potrebbe seguirla a breve visto che rispetta già due terzi della legislazione Ue – nessuno dei Paesi in lista d'attesa per l'Ue dovrebbe centrare il traguardo prima del 2020. E per la Turchia il cammino – se mai si compierà del tutto – sarà sicuramente ancora più lungo.

A dicembre addio ai visti in area Schengen per Bosnia e Albania. Ma la misura sarà revocabile

Nel frattempo, Bosnia e Albania possono consolarsi con il via libera dei ministri dell'Interno Ue all'abolizione dei visti per l'ingresso nell'area Schengen, già concessa un anno fa a Macedonia, Serbia e Montenegro.

Ma la decisione, arrivata lunedì e in vigore da metà dicembre, è stata accompagnata da un avvertimento: in caso di aumenti anomali dei flussi migratori, i visti potranno essere reintrodotti con una procedura d'urgenza.

Un'altra dimostrazione del fatto che l'Ue, di aprire le proprie frontiere, è sempre meno entusiasta.


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