Statua di Skanderbeg

La cosiddetta "questione albanese" nei Balcani pare non essere affatto un motivo di avvicinamento tra i politici albanesi dell'area. Tirana, Pristina, Skopje, numerose sono le divisioni e i differenti punti di vista, tali da imporsi come veri e propri confini divisori

24/02/2005 -  Indrit Maraku

A metà del Quattrocento, Skanderbeg, l'eroe nazionale albanese, prima di morire convocò i suoi uomini migliori. Chiese ad uno di loro di prendere un ramo e di spezzarlo con la forza delle mani. Detto, fatto. Poi, allo stesso, chiese di prendere una cinquantina di rami in gruppo e spezzarli: nonostante i suoi muscoli, il guerriero di Skanderbeg non ce la fece. "Vedete - disse loro - se restate uniti non c'è nemico che vi possa battere".

Storia... forse leggenda. Ma a distanza di secoli nessuno dei leader albanesi nei Balcani sembra aver imparato la lezione che l'eroe diede ai suoi uomini prima di lasciarli. Tornando all'attualità, la politica albanese nella regione si mostra più divisa che mai: Tirana, Pristina e Skopje (o Tetovo) non riescono a trovare una posizione unanime sulla cosiddetta "questione albanese" nei Balcani. Le differenze non sussistono soltanto tra le capitali, ma anche e soprattutto al loro interno, nonostante il 2005 sia stato definito l'anno più importante per questa causa.

Tirana ambigua

Alla madrepatria è stato dato un ruolo di "avvocato" della "questione albanese". Ma la diplomazia di Tirana spesso ha mostrato di non sapere o di non volere svolgere il compito che gli è stato chiesto dalle leadership degli albanesi in Kosovo e Macedonia.

L'accusa volta al Ministero degli Esteri di Tirana è quella di essere troppo ambiguo. Sin dalla fine della guerra in Kosovo, gli esponenti politici di Pristina hanno fatto leva sui microfoni a disposizione della diplomazia di Tirana per diffondere la volontà kosovara, con la richiesta di avere al più presto l'indipendenza da Belgrado. Ma la politica estera albanese non si sposta di un millimetro da quella internazionale, sintetizzata dallo slogan ormai famoso "prima gli standard e poi lo status".

E non ha saputo resistere il Presidente Rugova dopo l'ennesima gaffe della madrepatria: lo scorso 12 gennaio il Premier macedone Buckovski visitò la capitale albanese dove chiese all'omologo Fatos Nano di aiutarlo a risolvere il problema del confine tra Kosovo e Macedonia. Ricevette subito la disponibilità di Nano, che bene sapeva dell'esistenza di un accordo Skopje-Belgrado, del quale Pristina non vuole ancora sentir parlare. "Il Kosovo non è una terra senza padrone. L'Albania al massimo può mettere qualche buona parola, ma siamo noi quelli che vivono qua", replicò Rugova.

Insoddisfatti anche gli Albanesi in Macedonia. Il broncio di quest'ultimi si fece vedere durante la stessa visita di Buckovski. Nonostante l'allargata delegazione di Skopje, nessuno dei ministri del Bdi (o UDI - l'Unione democratica per l'integrazione di Ali Ahmeti, al Governo) preferì accompagnare il loro Primo Ministro a Tirana. Tetovo, il capoluogo albanese in Macedonia, continua a lamentare nei confronti di Tirana la stessa passività della quale si lamenta Pristina.

Ma se la linea ufficiale nella politica regionale dell'Albania è quella filo-occidentale, tra i partiti maggiori nel Paese non c'è traccia di omogeneità. Neanche nella maggioranza. Tra quelli più vicini alla posizione indipendentista di Pristina si trova il ministro della Difesa Pandeli Majko, al quale, durante la guerra in Kosovo - che mise in crisi l'economia albanese per via dei centinaia di migliaia di profughi kosovari - spettava la scomoda poltrona del Primo Ministro. Pochi giorni fa, Majko ha contraddetto la posizione di Nano sul problema dei confini, dichiarando che gli unici interlocutori di Skopje al riguardo dovevano essere i rappresentati del popolo kosovaro.

Più "patriottico" della sinistra si mostra il centro-destra capeggiato dall'ex presidente Sali Berisha, il quale non ha mai nascosto le sue idee indipendentiste sul Kosovo, idee che, nella regione amministrata dalle Nazioni Unite, si rispecchiano nelle posizioni moderate di Rugova. Ed ecco che spuntano fuori "le simpatie", un altro problema nei rapporti tra Tirana e Pristina. Il presidente kosovaro è sempre stato il pupillo di Berisha: frequentissime le sue visite nella capitale albanese durante il governo del Partito Democratico, seguite da una lunghissima assenza che inizia nel '97 (quando i socialisti salgono al potere) e si interrompe nell'autunno del 2004, quando, a pochi giorni dalle elezioni politiche in Kosovo, Rugova accetta di stringere la mano a Nano dopo ben 7 anni di rapporti gelidi tra i due.

Pristina e Tetovo... i vecchi fantasmi

Rispettando appieno il clima di disaccordo vigente in Albania, gli uomini politici a Pristina e Tetovo non sono riusciti a fare di meglio.

Nonostante la guerra sia finita da 6 anni, da Pristina giungono accuse, anche pesanti come quelle di tradimento. Il 2005 viene visto da tutte le parti come un anno decisivo per il futuro del Kosovo, ma sono in pochi nella regione a preoccuparsi di spostare seriamente su questo argomento il dibattito pubblico. I vecchi fantasmi della guerra ancora non sono morti, neanche tra gli intellettuali. L'ultimo caso vede protagonista l'accademico Rexhep Qosja che in una recente intervista per il settimanale di Tirana "Klan" accusa il Presidente Rugova di essere un traditore per aver incontrato, nel pieno della campagna di bombardamento della Nato sull'ex-Jugoslavia, l'uomo forte di Belgrado, Slobodan Milosevic.

Lo stesso panorama in Macedonia. I rapporti tra il Partito Democratico degli Albanesi (Pdsh, opposizione) di Arber Xhaferri, e il Bdi di Ahmeti (nato dalle ceneri dell'ex Uck) soffrono ancora degli attriti nati dal conflitto armato del 2001. Il solo fatto di essere su diverse sponde della politica non permette alle due formazioni di trovare un punto d'incontro su fatti che riguardano da vicino la minoranza albanese in questo Paese.

I media in lingua albanese nei Balcani sono pieni in questi giorni di interventi, opinioni e analisi sul problema del confine tra Kosovo e Macedonia e sul ruolo di Tirana in questa questione. Ma nonostante dai tempi di Skanderbeg di anni ne siano passati, i veri confini tra gli Albanesi nella regione continuano ad essere di altro tipo: mentali e politici, un genere più difficilmente valicabile.


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