La crisi politica in Albania è molto grave e non si può guardare al futuro, anche immediato, se non con preoccupazione. Nessuna soluzione può arrivare senza un'assunzione di responsabilità della classe politica albanese per quanto avvenuto lo scorso 21 gennaio. Un nostro editoriale

25/01/2011 -  Davide SigheleLuka Zanoni

I fatti che hanno sconvolto Tirana lo scorso 21 gennaio hanno lasciato molti disorientati. Nella crisi politica che si trascina dal giugno del 2009 covavano i germi di nuova violenza ed ora sono in molti a temere un vero e proprio collasso del Paese, come nel 1997.

L'analisi su quanto avvenuto, e quanto potrà avvenire nelle prossime settimane e mesi, non può prescindere da alcuni elementi.

Il primo, di carattere generale, è che quando la polizia apre il fuoco sulla folla, la responsabilità ricade sul governo in carica. E' a quest'ultimo infatti che spetta il controllo degli strumenti per garantire l'ordine pubblico, la tutela della sicurezza e della vita dei cittadini.

Non è quindi possibile porre il premier Sali Berisha e il principale leader dell'opposizione, Edi Rama, sullo stesso piano. Non tanto per le intenzioni o obiettivi politici dei due, o per i toni utilizzati da entrambi in questi giorni, tutt'altro che concilianti, ma per il ruolo istituzionale da loro attualmente ricoperto. Uno al governo, l'altro all'opposizione.

Altro elemento che va messo in risalto è il parallelismo con la situazione del 1997 e del collasso economico-politico e della sicurezza in Albania a seguito della cosiddetta crisi delle piramidi finanziarie. In quel caso Sali Berisha ricopriva il ruolo di Presidente della Repubblica e, assieme al resto della classe dirigente albanese del tempo, portò il paese al crollo istituzionale e politico.

Il 21 gennaio Sali Berisha, con la violenza nei confronti dell'opposizione, ha perso un'occasione per dimostrare che la classe dirigente da lui rappresentata è cresciuta politicamente rispetto a 10 anni fa ed è in grado di far uscire il Paese da una situazione di profonda crisi. Nei giorni successivi inoltre Berisha ha scelto la via della non mediazione: andando allo scontro con la procura generale in merito all'arresto dei poliziotti coinvolti nell'uccisione dei manifestanti e optando per la creazione unilaterale da parte della maggioranza di governo di una commissione parlamentare d'inchiesta.

A questo è da aggiungere una corruzione pervasiva sino ai più bassi livelli ed alimentata dalle alte sfere. Il video che incastra l'ex vicepremier, Ilir Meta, ne è un esempio lampante. Benché i socialisti abbiano denunciato a più riprese i gravi fatti di corruzione che vedono coinvolto l'attuale governo è evidente però che neppure loro sono immuni da questo problema. Va detto infatti che sono in molti, all'interno del partito, ad esprimere interessi del tutto privati e spesso l'unico legame che li unisce è l’odio verso Berisha. La stessa opposizione inoltre fa fatica ad affrontare il compromesso politico, problema che caratterizza la classe politica albanese nel suo complesso.

Guardiamo quindi con preoccupazione alle due manifestazioni indette rispettivamente da opposizione e governo venerdì e sabato prossimi. La comunità internazionale, e l'Italia in particolare, hanno il dovere di favorire il dialogo tra le parti condannando duramente l'uso della violenza. La classe politica albanese, dal canto suo, deve dimostrare che lo spettro del 1997 è stato sepolto, e che crisi anche profonde possono essere affrontate con gli strumenti previsti dalla dialettica democratica.


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