azione di guerra in Iraq

L'Albania ha propri soldati sia in Afghanistan che in Iraq. E non ha esitato un attimo a schierarsi compatta sulle posizioni USA. Fatos Nano, Primo ministro, spiega il perché. "In Europa entreremo se tutto va bene nel 2015, nella NATO tra pochi anni".

12/02/2004 -  Indrit Maraku Tirana

Quasi un anno fa, quando era in atto il braccio di ferro tra gli Stati Uniti e quella che il Presidente USA Gorge W. Bush chiamò "la vecchia Europa", in merito all'intervento americano in Iraq, i capi della diplomazia occidentale girarono sorpresi la testa verso i Balcani. Infatti mentre diversi importanti Stati europei erano indecisi sul da farsi, altri, tra i quali anche l'Albania, avevano appoggiato fin da subito Washington e le posizioni espresse dalla Casa Bianca.

Furibonda la Francia, a capo del fronte "No": da Parigi arrivava irruente la reazione del Presidente Jacques Chirac, il quale non ci pensò due volte a minacciare i piccoli Paesi balcanici. Il messaggio era chiarissimo: chi appoggia la guerra mette a repentaglio la sua adesione all'Unione Europea. Nonostante le dichiarazioni che giungevano da Parigi, in pochi erano quelli preoccupati nel Paese delle aquile. Ma basta una piccola riflessione per capire il perché...

Albanesi, questi indifferenti

Innanzitutto il Governo di Tirana ha potuto fare affidamento sull'indifferenza dell'opinione pubblica interna. Occupati a fare i conti con la vita sempre più cara e con il rialzo dei prezzi, gli Albanesi non si sono preoccupati più di tanto di quali fossero i rischi e quali i vantaggi di un tale appoggio agli USA. Dalle autorità si sentivano frasi del tipo "andiamo in missione di pace" oppure "aiutiamo a ricostruire l'Iraq". E le precedenti esperienze in Bosnia, dove l'Albania è presente con 100 uomini delle truppe speciali "Komando", ed in Afghanistan, con 30 soldati, sembravano tranquillizzare un po' tutti. D'altra parte gli apprezzamenti rivolti a Tirana riguardo la sua presenza in questi due Paesi e le promesse incessanti di un appoggio per entrare il prima possibile e con pieni diritti nella Nato, hanno fatto pensare agli albanesi che questa potesse essere la strada giusta da intraprendere per raggiungere tale obiettivo. Tutto ciò ha fatto sì che in Albania non si manifestasse tra la popolazione un'opinione contraria all'appoggio alla guerra in Iraq e che non ci fossero proteste di piazza come quelle verificatesi in altri Paesi vicini, come ad esempio la Macedonia.

Nemmeno la morte del primo soldato albanese, il 21enne Ervin Dervisci, in un agguato a Baghdad pochi giorni fa, ha trovato un riscontro rilevante nell'opinione pubblica. Nonostante il giovane indossasse la divisa dei Marines, le autorità di Tirana hanno voluto proclamarlo "Martire della Patria". Dervisci era emigrato negli Stati Uniti con la sua famiglia nel 1999 grazie alla vittoria di una lotteria che gli diede il diritto alla "greencard" (valida come il permesso di soggiorno in Italia) e la possibilità di trovare un impiego fisso.

"NATO", la vera missione di Tirana

Poter entrare a far parte dell'Alleanza Atlantica è uno degli obiettivi primari in Albania non soltanto dei socialisti al potere, ma di ogni governo di qualsiasi schieramento politico. Quale aiuto o "spinta" in tal senso può essere maggiore di quella che può provenire dagli USA, il paese con il maggior peso in quella famiglia?
D'altra parte c'è da riscontrare una disorganizzazione dell'opposizione di centro-destra, contraria alla decisione di inviare le truppe in Medio Oriente. Le voci contrarie all'intervento sono così rimaste deboli ed isolate, sopite lì dove si erano sollevate. Anche per questo che le autorità di Tirana non ci hanno pensato due volte a prendere una posizione favorevole sull'intervento statunitense.

Dopo aver inviato 30 uomini in Afghanistan sotto il comando dell'Esercito turco, il Parlamento albanese ha deciso di mandarne altri 70, selezionati tra i suoi soldati migliori, in Iraq, sotto il comando americano. I politici albanesi in generale vedono queste missioni di peacekeeping come un palcoscenico dove mostrare i passi avanti fatti sino ad ora nella riforma nell'Esercito, per mostrare i passi compiuti per raggiungere i parametri internazionali che permetterebbero finalmente al Paese di fare parte della NATO. Sembra meno rilevante la volontà delle autorità albanesi di contribuire al ripristino dell'ordine e della sicurezza.
Ma opinione pubblica e politici insieme sono coscienti che, tra l'Unione Europea e la NATO, l'obiettivo più facilmente raggiungibile sia l'ingresso in quest'ultima. Anche il Primo ministro Fatos Nano, nel suo discorso al congresso del Partito Socialista tenutosi nel dicembre scorso, ha affermato che l'Albania potrà entrare a far parte dell'UE soltanto nel 2015. Invece, secondo le previsioni di Nano, l'adesione alla NATO potrebbe divenire una realtà già nel 2007. Costretta a scegliere tra l'Europa e gli Usa, l'Albania ha preferito questi ultimi.

Un'altra ragione che ha spinto l'Albania ad appoggiare l'intervento USA sono sicuramente gli appalti per la ricostruzione dell'Iraq. Infatti, da subito Washington promise che le imprese che si sarebbero occupate della ricostruzione delle infrastrutture irachena sarebbero state scelte tra quelle dei Paesi facenti parte della coalizione internazionale.
E questo a Tirana fa sicuramente gola, specialmente se si pensa che quegli appalti possano dare una forte spinta all'economia locale, oggetto ultimamente di piccoli progressi ma che comunque fatica a spiccare il volo o in ogni caso ad avvicinarsi a quella dei paesi occidentali.

Oggi l'Esercito albanese fa parte di tre missioni internazionali di pace, ma la vera missione è un'altra: si chiama "NATO", e per portarla a termine Tirana ha preferito dire "Yes Sir!".

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