Firme raccolte a Tirana a favore di Gjergj Bojaxhi - foto di Nicola Pedrazzi

Domenica in Albania si vota per le amministrative. I socialisti cercano conferme, che probabilmente arriveranno, ma non senza possibili sorprese. Un'analisi

16/06/2015 -  Nicola Pedrazzi Tirana

A due anni dal plebiscito viola, domenica 21 giugno gli albanesi torneranno alle urne. In Albania le amministrative assumono inevitabilmente un significato politico, perché si vota lo stesso giorno in tutti i comuni. Per il governo Rama si tratta di un test fondamentale: dopo due anni di operato, la composita maggioranza che lo sostiene, fondata anzitutto su PS ed LSI (i partiti del Premier e del Presidente del Parlamento), si trova, nuovamente insieme, a confrontarsi con i cittadini. Riuscirà il PD a rifarsi dello smacco subito nell’estate del 2013? Dopo due anni di riforme tanto necessarie quanto indigeste, la coalizione di sinistra confermerà i suoi consensi? E in che modo, all’interno di questa, cambieranno i rapporti di forza?

A livello nazionale, la campagna elettorale è stata tutta incentrata su economia ed occupazione, due temi d’urgenza su cui ogni candidato ha puntualmente costruito le proprie promesse. Capitale a parte, tra le sfide più attese c’è quella di Durazzo – dove il socialista Vangjush Dako, a caccia del terzo mandato, è sfidato dalla celebre Grida Duma – e la battaglia tutta in rosa che Keti Bazhdari e Voltana Ademi stanno ingaggiando a Scutari, roccaforte storica della destra.

A seguito del caso Doshi, non solo Rama ma soprattutto Meta tengono a dimostrare che lo straordinario consenso elettorale incassato al nord alle scorse politiche non era dovuto all’appoggio politico-clientelare fornito dal socialista Tom Doshi – il quale, ancorché in libertà vigilata, non ha comunque rinunciato a fare capolino a Scutari per mietere proseliti in favore del PS.

In attesa del voto va detto che il pubblico confronto in questa giovane democrazia ha, ancora una volta, lasciato a desiderare: la campagna elettorale è cominciata ufficialmente il 20 maggio scorso, ma ben prima di allora i candidati avevano già cominciato le reciproche campagne denigratorie.

Propaganda e decriminalizzazione

Un buon esempio di lotta senza esclusione di colpi che precede ogni elezione albanese ci è fornito dall’uso strumentale della stampa estera. Gli albanesi, si sa, sono poliglotti, e in particolare capiscono l’italiano. Accade così che già nell’aprile scorso un giornalista di Varese News, incuriosito dall’improvviso moltiplicarsi delle visualizzazioni alla sua testata, scrive alla nostra redazione in cerca di spiegazioni. L’articolo super-cliccato risaliva al 2010, e riguardava una serie di arresti per narcotraffico verificatesi a Gallarate: perché, improvvisamente, migliaia di albanesi riprendevano quella pagina? La risposta risiedeva nel nome di uno degli arrestati: Artur Bushi, candidato del partito socialista al comune di Kruja. In quei giorni il PD stava conducendo una tambureggiante «campagna informativa» volta a denunciare la presenza di candidati con precedenti penali nelle fila del PS: a conferma dell’impresentabilità di Bushi, si moltiplicava sui social l’incriminante articolo varesotto.

Propaganda a parte, la “decriminalizzazione” delle liste, indicata come priorità dagli internazionali, è stata un tema centrale per tutta la campagna elettorale. In un paese in cui i l’interscambio tra politica e criminalità deriva anzitutto dai soldi sporchi del “boom” post-regime con cui imprenditori locali hanno potuto spartirsi la fedeltà dei loro poveri concittadini, è chiaro che il problema del rapporto clientelare tra elettore ed eletto emerge a maggior ragione durante le amministrative. Riconoscendo il fenomeno, il PD ha denunciato Gentian Muhameti, proprio candidato nella cittadina di Këlcyrë sospettato di traffici illeciti in Italia; il PS, invece, ha reso noto che le sue liste erano già state debitamente “ripulite” conformemente agli auspici internazionali.

Questi minuscoli esempi, forse poco rilevanti, bastano però a descrivere una realtà amara: quella di una contesa politica con poco merito e con molto metodo, memore delle “regole” solo su suggerimento esterno.

La sfida nella capitale

A Tirana la tensione è meno palpabile di quattro anni fa. Nel giugno 2011, a pochi mesi dai tragici scontri dell’11 gennaio, al governo c’era Sali Berisha: Lulzim Basha, il suo delfino, sfidava un Edi Rama già proiettato verso la politica nazionale. Inizialmente, anche se per soli dieci voti, il sindaco uscente era stato confermato, ma la controversa riassegnazione di alcune schede in precedenza considerate nulle ribaltò il risultato, e il municipio andò al PD. Quelle elezioni, criticate dalla maggior parte degli osservatori internazionali, generarono nell’elettorato più giovane, in quei ragazzi che si erano avvicinati per la prima volta alla politica, un clima di sfiducia bipartisan – in molti albanesi brucia ancora oggi la vergogna per quell’infinito riconteggio delle schede, di cui finì per farsi garante l’ambasciata americana.

Nonostante i precedenti, a pochi giorni dal voto Tirana sembra godersi la calura estiva. Al disteso clima tiranese contribuisce una certezza diffusa, secondo la quale il municipio sarebbe già socialista. Stando a quanto si origlia nei bar – luoghi di scienza politica, specie a stagione calcistica conclusa – ma soprattutto secondo i due sondaggi che Ora News e A1 Report hanno commissionato a IPR Marketing e all’Istituto Piepoli, l’annunciato sindaco di Tirana sarà il trentaseienne Erion Veliaj.

Laureatosi in scienze politiche negli Stati Uniti, presso la Grand Valley State University del Michigan, dopo aver conseguito il master in integrazione europea all’Università di Sussex, nel 2003 Veliaj rientra in patria per dare vita al movimento Mjaft, uno dei primi esperimenti di società civile nato in opposizione al governo socialista di Fatos Nano. Fondato e abbandonato il partito G99 a causa degli scarsi risultati elettorali, Veliaj approda al PS in qualità di segretario per la gioventù e l’emigrazione; nel 2013 viene eletto in parlamento, ma poco dopo rinuncia al seggio per diventare ministro del Welfare e della Gioventù (Rama ha imposto a tutti i membri del governo di rinunciare alla propria carica parlamentare a seguito della nomina). Esponente di spicco dei “trentenni di ritorno” che sono dietro alla freschezza comunicativa del premier, anche Veliaj è molto attento all’immagine, ultrapresente in rete, eccellente nel parlare in pubblico.

A cotanto favorito, il PD ha contrapposto Halim Kosova, un uomo esterno all’apparato, appartenente ad un’altra generazione. Classe 1954, medico affermato, docente e capo del reparto di ostetricia dell’ospedale di Tirana, Kosova è da sempre vicino al PD ed in particolare al leader Berisha. Nel 2013, a seguito del rimpasto di governo imposto dalla fuoriuscita dell’LSI, ha ricoperto per tre mesi la carica di ministro della Sanità. Non è giovane ma dalla sua, di fronte alla comunità, ha tutti i pregi di un candidato “civico”: come ricordano i suoi sostenitori,”Kosova ha fatto nascere mezza Tirana”.

Un outsider?

Ma nell’insidioso stagno della politica albanese c’è anche chi sta provando a giocare il ruolo del sasso. La candidatura indipendente di Gjergj Bojaxhi, che per candidarsi ha raccolto il doppio delle firme necessarie, sembra rappresentare la novità più rilevante di questa tornata elettorale.

Laureatosi negli Stati Uniti, “Gjergji” è oggi amministratore di una società italo-albanese che opera nel settore dell’importazione degli idrocarburi. Nel suo cv annovera tre incarichi politici di rilievo: nel 2005 lascia la Banca Mondiale per assumere la carica di vice-ministro dell’Economia; dal 2005 al 2007 è direttore della KESH (Ente nazionale energia elettrica) e nel corso del 2010 viene nominato dal secondo governo Berisha a capo dell’INUK (Ispettorato Urbanistico Nazionale). Tutti e tre le esperienze di concludono con le rassegna delle dimissioni per “incompatibilità” con gli esecutivi che lo avevano nominato.

L’idea di Gjergji, che nonostante la sua notevole esperienza politica si presenta come uomo della strada, è quella di occupare il consistente spazio trasversale lasciato vuoto da un PS che da forza di protesta si è tramutato in forza di governo e da un PD incapace di rigenerarsi. Dal momento che la sua candidatura non è sostenuta da nessuna lista e che quand’anche egli vincesse le elezioni non potrebbe contare su nessun voto in consiglio comunale, non è malizioso sostenere che il suo obbiettivo vada ben oltre il 21 giugno. Ad oggi si conosce Gjergji ma molto meno il suo entourage e i suoi programmi: tutto lascia pensare che scopriremo nomi e fatti solamente il giorno dopo le elezioni, quando, sulla base del responso delle urne, Gjergji annuncerà la nascita di un nuovo movimento politico.

Tre considerazioni

Aspettando che gli albanesi si esprimano tre considerazioni: sul PD, su Tirana, sulla coalizione di sinistra.

Primo: quantomeno a Tirana, il PD è in estrema difficoltà. Non solo per il mandato non entusiasmante di Basha – che non a caso non è stato riconfermato – ma anche per la solitudine politica in cui Kosova sta portando avanti la sua compagna. La sensazione è che, finita l’era Berisha, il PD non si sia ancora riorganizzato a livello nazionale: si potrebbe addirittura ipotizzare che sapendo di andare incontro a una sconfitta certa, nella capitale il partito abbia optato per un candidato esterno al solo fine di non bruciare i suoi futuri esponenti politici, ancora acerbi per questa competizione. La non-volontà di vincere della destra è d’altronde testimoniata dall’impressionante sciatteria dei cartelloni e delle grafiche a sostegno dei propri candidati, un’arretratezza estetica – non trascurabile nell’era della comunicazione – resa ancor più inclemente dal confronto con la rodata macchina della propaganda del premier.

Secondo: nella loro diversità curricolare e anagrafica, gli sfidanti di Tirana condividono una caratteristica: sono persone di fiducia dei rispettivi leader. Se al merito dei problemi si antepone la fedeltà alla ditta, il livello del confronto politico si abbassa. È un peccato, perché queste dovevano essere delle comunali. Al di fuori di questa logica, si è posto con notevole efficienza Gjergji Bojaxhi. La spontanea mobilitazione che questo “cittadino senza partito” ha saputo catalizzare è meritevole di attenzione e prelude a un piccolo terremoto elettorale. Tuttavia, poiché in politica nulla nasce dal nulla, è lecito chiedersi su quali forze sociali ed economiche potrà contare questo eventuale terzo polo. Volontari a parte.

Terzo: al di là del consueto asse PS/PD, veramente fondamentale sarà il risultato dell’LSI su scala nazionale. Confermando la coalizione del 2013, PS e LSI si presentano uniti in tutti i comuni, alternando i candidati sindaci. Sulla scia dello slogan “impiego e servizi”, l’LSI promette un balzo in avanti: negli ultimi due anni di governo, mentre Rama si intestava le riforme più dolorose, Meta ha saputo giovarsi della propria posizione di potere, mantenendo una ad una le promesse fatte ai propri elettori. Al di là delle più o meno interessanti sfide locali, le amministrative forniranno senza dubbio l’occasione per una rinegoziazione dei rapporti di forza all’interno della difficile maggioranza di governo.


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