Ancorare la riforma della legge nazionale ad una radicale critica dei presupposti culturali della cooperazione. Se ne parla da tempo e anche da Trento si contribuisce al dibattito

08/05/2008 -  Silvia Nejrotti

Cosa contraddistingue una migliore cooperazione allo sviluppo, svincolata dalle contraddizioni e dai vizi del passato? Quali sono le caratteristiche salienti che potrebbero rinnovarla e come tradurle in indicazioni normative che possano incidere sull'efficacia delle prassi? Quali raccomandazioni affidare al mondo politico per la riforma della legge nazionale n.49/87 e al mondo non-governativo, nel suo insieme, per la futura progettazione?

Nell'ambito di un dibattito nazionale, anche a Trento ci si è interrogati sulla cooperazione italiana allo sviluppo attraverso il seminario 'Nuova Cooperazione', incluso nel percorso progettuale della World Social Agenda. L'incontro, organizzato da Fondazione Fontana Onlus, ha inteso in tale modo raccogliere l'istanza consegnata dall'Ottavo Obiettivo del Millennio, espresso nella formula 'Sviluppare la partnership globale per lo sviluppo' e declinato nel sottobiettivo di promuovere una maggiore e migliore cooperazione.

Riflettere sulla cooperazione allo sviluppo e delinearne possibili prospettive, dunque. Ma con una precisa opzione di metodo: rifletterne coinvolgendo attivamente uno spettro ampio di soggetti che si occupano di cooperazione, nelle sue diverse forme ed articolazioni. A questo scopo, il seminario è stato preceduto dall'elaborazione comune di un testo, un work in progress che ha visto il coinvolgimento dell'associazionismo e delle istituzioni trentine e di altre realtà nazionali, a partire dal quale prospettare spunti per una migliore cooperazione.

Il testo che ne è scaturito è stato oggetto di confronto al seminario, sarà presentato in occasione di Civitas 2008, il Salone della solidarietà e dell'economia sociale e civile, ed è disponibile online sul sito di Unimondo .

I lavori della giornata si sono articolati in due sessioni: l'una, 'Evoluzioni e prospettive della cooperazione internazionale allo sviluppo', dedicata a delineare elementi cardine per una filosofia della cooperazione al passo con i tempi; l'altra, 'Riforma della legge italiana sulla cooperazione allo sviluppo: un percorso accidentato?' volta a fare il punto sull'iter legislativo di riforma della legge nazionale e sul lavoro della Commissione ad esso deputata.

Un filo rosso ha legato gli interventi, convergenti nell'ottica di ancorare una indispensabile riforma della legge nazionale ad una radicale critica dei presupposti culturali della cooperazione, da cui sviluppare un nuovo orientamento teorico e pratico, 'un nuovo paradigma cooperativo', maggiormente in sintonia con il mondo interdipendente del nuovo millennio.

Idee centrali emerse dai contributi dei relatori sono state, tra le altre, l'importanza di dedicare spazio (e finanziamenti) nel fare cooperazione alla dimensione della conoscenza, in particolar modo antropologica e sociale, e ad una 'cooperazione intangibile', che operi ed investa su oggetti immateriali, su relazioni e processi (valutazione, apprendimento, costruzione di reti) tra luoghi e persone.

Accanto al rischio di una cooperazione ridotta a 'braccio umanitario della geopolitica estera di una paese', si è evidenziato, inoltre, il ruolo della cooperazione allo sviluppo come parte costitutiva della politica estera di un paese, richiamando di conseguenza, laddove in un mondo globalizzato i confini tra politica estera e politica interna si fanno più labili, l'istanza di una imprescindibile (ma tutta da costruire) coerenza tra le politiche pubbliche messe in atto, a diversi livelli, dal paese. Legato a questo aspetto è apparso evidente il disorientamento dovuto ad un percorso di lavoro interrotto a causa dell'attuale vuoto politico-governativo dovuto alla crisi di governo.

Per quanto riguarda la cooperazione decentrata, 'arcipelago di attori ed azioni', si è evidenziato il quadro di crescente europeizzazione, fatto di vincoli ed opportunità, in cui si stanno e si andranno sempre più sviluppando le relazioni tra le Autonomie locali e i diversi attori del territorio (organizzazioni della società civile, mondo culturale, ambientalista, economico).

In relazione a questa moltitudine di attori, un altro elemento lampante ha riguardato la pluralità dei linguaggi, utilizzati dai soggetti che si occupano di cooperazione e la difficoltà, talvolta, a trovare lemmi comuni su cui confrontarsi. Una convergenza su ciò che vada inteso come 'nuova e migliore cooperazione', e soprattutto sulle strategie per realizzarla, non va presupposta ma costruita pazientemente nel confronto dialogico.

Dal seminario di Trento emerge dunque un chiaro messaggio di ripensamento della cooperazione, che, muovendosi tra l'esigenza di un nuovo progetto culturale e l'istanza di riconsiderare la dimensione dei finanziamenti, trova una sintesi in dieci punti.

L'intento è quello di costruire una cooperazione che:
1) legge il presente: agisce, ma insieme incontra, conosce, riflette;
2) costruisce apprendimento nel rapporto con l'alterità;
3) riguadagna il mondo: dialoga sulla base dell'esperienza e non degli schemi culturali precostituiti;
4) non vincola la qualità alla disponibilità finanziaria, ma non ne disconosce l'importanza;
5) parte dalla logica dei diritti e non dalla logica dei bisogni;
6) entra in relazione 'a tempo indeterminato' e si proietta oltre l'emergenza;
7) coopera 'al plurale' riconoscendo il pluriverso degli attori e delle forme;
8) favorisce l'interconnessione e costruisce visioni d'insieme oltre la rete;
9) si radica nelle comunità per abitare assieme l'interdipendenza.
10) non omologa, ma coltiva la diversità dei saperi.

Sono ormai in molti a discutere di nuova cooperazione, approfondire il tema del protagonismo dei territori locali nelle relazioni internazionali, proporre raccomandazioni politiche a livello nazionale ed europeo. A quando la riforma?


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