Gorizia, Piazza della Transalpina (Transalpina Square) - photo Nicola Lott

Pur separate dalla cortina di ferro, Gorizia e Nova Gorica sono divenute negli anni simbolo di integrazione e sperimentazione. Come procede la collaborazione, dopo la caduta del confine? Il primo di tre articoli

26/05/2008 -  Gian Matteo Apuzzo

"Chi sostiene che la caduta del confine non abbia cambiato nulla per Gorizia, vada a chiedere se è davvero così a quelli che il confine lo avevano in casa propria, nelle proprie terre, magari in mezzo al giardino di casa". Così si esprime l'assessore provinciale di Gorizia, Marko Marinčič rispetto all'opinione diffusa che in fondo ciò che è accaduto il 21 dicembre 2007, e cioè la caduta definitiva del confine tra Italia e Slovenia per l'entrata di quest'ultima nella cosiddetta "area Schengen", non cambia molto per la città da troppi anni divisa da un confine considerato innaturale.

In questo senso sembra interessante notare che nella memoria dei goriziani il 1 maggio 2004 è rimasto impresso, mentre il 21 dicembre 2007 è passato quasi inosservato. E, a distanza di diversi mesi dallo smantellamento definitivo del confine, i due Comuni non hanno organizzato niente di significativo che segnasse questo momento storico. Tutti ricordano la demolizione del muretto della Piazza della Transalpina e la sua sistemazione con mosaico per celebrare il superamento del confine e l'ingresso della Slovenia nell'UE. Al contrario, in occasione dell'allargamento dell'area Schengen non si è sentita la necessità di una commemorazione altrettanto significativa.

Tale considerazione non fa che confermare una generale sensazione che emerge dall'osservazione il territorio goriziano, dove, paradossalmente, lo slancio ideale di collaborazione e di unità tra Gorizia e Nova Gorica appariva maggiore quando il confine era presente. In passato, infatti, c'è stato uno sforzo propulsivo molto più evidente, che mirava a rendere il confine una risorsa.

Gorizia ha vissuto una grande intuizione negli anni '60, l'essere luogo d'avanguardia nella riflessione sui rapporti con l'Europa dell'Est, ponendosi come interlocutore diretto di chi, anche nella vicina Jugoslavia, voleva dialogare e costruire percorsi comuni di dialogo, iniziando ovviamente da Nova Gorica. Così, nella volontà di superare quel confine ritenuto da molti innaturale, rimane impressa la straordinaria stagione dei primissimi tentativi di costruzione di una visione comune di futuro, con sindaci illuminati quali Strukelj e Martina, con la nascita a Gorizia di grandi istituti culturali e di ricerca (tra i quali ad esempio il Centro Studi Rizzati, l'Istituto per gli Incontri Culturali Mitteleuropei, l'Istituto di Sociologia Internazionale,...), fino alle grandi idee di persone come Darko Bratina che, insieme ad altri, ha lavorato per una ricomposizione culturale e umana della città.

Gorizia, Piazza della Transalpina (Transalpina Square) - photo Nicola Lott

Gorizia è sembrata quasi spiazzata dagli eventi seguiti al 1989 e non è riuscita a capitalizzare quanto costruito nei decenni precedenti e a trasformare le grandi idee in progetti concreti. "Quasi Gorizia avesse necessità del confine", afferma Marco Grusovin dell'Istituto per gli Incontri Mitteleuropei. Dalle conversazioni, dall'osservazione e dagli incontri emerge un doppio processo, parallelo e complementare, che sembra affievolire la necessità della collaborazione: se una volta esisteva quasi "un'urgenza" della collaborazione e del dialogo per ricucire spazi urbani, appartenenze e affetti, ora la caduta del confine si pone quasi come un alibi che permette di "non pensarci più" non essendo più un problema; allo stesso tempo la crescita della giovane Slovenia e un generale aumento della competizione economica su scala più ampia, globale, ha posto gli enti locali di questo territorio più su un piano competitivo che collaborativo, in una visione di sviluppo nella quale le differenze nazionali, legislative, economiche sono strumenti con cui ognuno gioca autonomamente il proprio progresso.

E così l'idea di "città comune", già utilizzata negli anni '90 proprio in contrapposizione all'idea di "città divisa", non ha trovato definitiva concretizzazione nei progetti e nelle realizzazioni che si pensava dovessero avvenire senza intoppi dopo l'indipendenza della Slovenia e soprattutto dopo il maggio del 2004.

L'inaugurazione alla fine del 2002 della linea transfrontaliera di trasporto urbano aveva acceso grandi speranze su possibili altri progetti di servizi urbani condivisi, ma questa linea rimane tuttora l'unico elemento segno tangibile del possibile processo di integrazione tra le due città.

Ciò che più colpisce è che entrambe le città sono caratterizzate dalla "retorica della collaborazione transfrontaliera", principio ampiamente condiviso ma che rimane spesso sulla carta. Così anche la promozione di eventi significativi, come l'incontro dei 40 sindaci del confine o la definizione della cosiddetta Carta di Gorizia (che affermava uno status speciale per le città transfrontaliere), non è riuscita a raggiungere sostanziali risultati al di là dei discorsi e delle dichiarazioni di principio. Lo stesso si può dire anche del Patto transfrontaliero (di cui parleremo in un prossimo articolo), finalizzato ad aumentare la permeabilità del confine proprio attraverso una condivisione della programmazione di interventi e di servizi per favorire l'integrazione tra le popolazioni frontaliere.
E se da un lato bisogna guardare con positività a quanto è stato realizzato grazie alle politiche comunitarie e ai fondi europei, dall'altro è vero che non può rimanere solo questo lo strumento attraverso il quale porre in essere una politica comune.

Si potrebbero fare considerazioni rispetto al fatto che la collaborazione transfrontaliera a volte sembra compiere passi indietro invece che passi avanti. Qualcuno, come detto, ritiene ci sia un'esasperata competizione economica che spinge all'individualismo piuttosto che alla condivisione. Nel ristretto territorio goriziano, tuttavia, questo rischia di portare ad una deriva di piccolo protagonismo, nel quale non sono messi in crisi solo i rapporti internazionali e transfrontalieri ma anche quelli interni (ad esempio tra Comune e Provincia di Gorizia, oppure tra Gorizia e Monfalcone).

Gorizia, Piazza della Transalpina (Transalpina Square) - photo Nicola Lott

Ci sono mega-progetti a Nova Gorica che dimostrano questa "corsa" alla crescita tramite iniziative intese a sviluppare un'attrattività pensata in modo autonomo. Tra questi progetti rientra l'idea di un enorme nuovo Casinò, progetto ora fermo, ma che la Hit continua a volere. Oppure il museo del Volo, che prevede una piramide gigante (la più alta del mondo, si dice, di un 1 cm più di quella di Cheope), con annesso parco dei divertimenti, interno e esterno, più area fitness, più spazi per l'Università. Su quest'ultimo progetto ad esempio la Provincia di Gorizia ha dato solo un parere informale, ma si può ben capire quanto questa realizzazione andrà a incidere sull'area transfrontaliera.

Alcuni sostengono che ci sia un dato culturale che non può essere trascurato. Da un lato si tratta della cultura politico-amministrativa, per la quale manca una visione strategica e sostanzialmente si naviga a vista. E così, ad esempio, a Gorizia sono presenti tre Università, tra le quali anche quella di Nova Gorica, che lavorano in maniera indipendente l'una dall'altra. Dall'altro lato, riguarda la cultura politico-partitica, per la quale ancora, per distinguersi, si nega la valenza positiva di progetti dell'una o dell'altra amministrazione, oppure, come successo a Gorizia, durante l'ultimo celebrazione del 1° maggio si scelgono luoghi diversi (la Casa Rossa piuttosto che la Piazza della Transalpina) come se i luoghi avessero valenza per una parte politica piuttosto che per la comunità nel suo complesso.

Il problema culturale però è anche un problema di generazione e di motivazione. Gorizia, proprio negli anni del fermento intellettuale e della collaborazione, ha avuto dei riferimenti intellettuali in Jugoslavia e in alcuni paesi del blocco sovietico che erano grandi personaggi rappresentanti di una realtà storica precisa, ma che ora sono in un certo senso superati, non certo per il valore delle loro idee ma perché naturalmente simboli di un'altra epoca. Ora esiste una difficoltà a trovare e intercettare nuovi interlocutori, che siano rappresentativi della nuova società, che sappiano interpretare gli elementi del cambiamento. A Gorizia e Nova Gorica servono forse personalità culturali innovative, ma i potenziali nuovi interlocutori si muovono su reti diverse, che non sono le stesse del passato, e che guardano anche ad altri mondi, più lontani, globali, per fare rete.

Allora affrontare e gestire la vita del territorio goriziano dopo la caduta definitiva del confine significa forse trovare il giusto equilibrio tra la costruzione quotidiana e locale di una comune appartenenza e convivenza e l'inserimento congiunto in reti che superano la dimensione strettamente locale ma che idealmente rappresentano la continuazione della ricchissima tradizione storica della collaborazione transfrontaliera goriziana. L'idea di Europa, dell'Europa di mezzo - per usare un termine caro all'Osservatorio sui Balcani - è forse l'idea che qui può trovare una nuova forza per contrastare sia l'esasperato senso del nuovo che fa correre e non pensare, sia le paure che la caduta del confine porta con sé.

In questo senso si potrebbe realisticamente e pragmaticamente sostenere che il "transfrontaliero" è bello ma non deve essere un dogma assoluto. Eppure, come affermato da Igor Komel del Kulturni Dom, "se in fondo Gorizia è poco interessante per l'Italia e Nova Gorica è poco interessante per la Slovenia, Gorizia-Nova Gorica insieme possono essere interessanti per l'Europa".


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