Il Kosovo nei giorni dell'avvio ufficiale di Eulex. Un reportage da Peja-Pec sulla presenza internazionale, tra voci della società civile, vita quotidiana e cooperazione

09/01/2009 -  Mauro Cereghini

Il nostro aereo atterra a Pristina con un quarto d'ora di anticipo: un'anomalia senza dubbio, e non sarà l'unica. Oggi è un giorno particolare per il Kosovo, la nuova missione europea Eulex ha finalmente avuto il via libera per sostituire in tutto il territorio la precedente Unmik a guida Onu. E nonostante i timori, il dispiegamento è avvenuto senza problemi anche nella parte nord di Mitrovica. Il tassista improvvisato che ci porta a Peja però parla d'altro. Sono giorni di Bajram, ma lui cattolico non ha festeggiato. Racconta dei rapporti tra comunità religiose visti dal microcosmo del suo villaggio: non sempre sono semplici, segno di una complessità kossovara che va ben oltre la faglia più visibile serbi-albanesi. Ce ne rendiamo conto in una breve sosta a Klina. "E' un po' un Kosovo in miniatura - racconta Francesco, che qui ha lavorato alcuni anni - nella municipalità ci sono anche villaggi serbi e bosniaci, oltre a diverse famiglie rom, e sono presenti tutte le tre religioni dell'area in un clima relativamente disteso". Mentre lo dice vediamo passare una signora serba, e siamo in pieno centro. Altrove sarebbe impossibile. "Certo, il rientro dei serbi riguarda quasi solo anziani. Gli altri magari si sono fatti ricostruire la casa, ma vivono altrove e se possono cercano di venderla...".

Arriviamo a Peja e andiamo nel nostro ufficio, in un palazzaccio del socialismo reale. Fino alla scorsa primavera ospitava una parte degli uffici locali di Unmik. "Quando il comune ci ha fatto entrare - racconta ancora Francesco - c'erano carte dell'amministrazione internazionale sparse ovunque, quasi fossero fuggiti". Ora Eulex eredita la cattiva fama delle Nazioni unite. "Sono la stessa cosa, hanno solo cambiato giacca" sentiamo dire tra la gente, che non segue molto le distinzioni diplomatiche. Come, secondo alcune voci, non le avrebbe seguite quel tassista che il mese scorso a Pristina ha portato un attentatore davanti all'edificio internazionale sbagliato, quello dell'Ico, vanificando le bombe per Eulex.

In effetti non è semplice spiegare la diversità tra le due missioni, che pure è molta, a chi è stato illuso di essere ormai indipendente e libero da controlli esterni. Unmik era una vera e propria amministrazione internazionale con pieni poteri, la missione europea che parte ora avrà solo compiti di supervisione e consiglio alle istituzioni locali in pochi settori chiave: giustizia, polizia e dogane. Sono competenze limitate, ma riguardano campi delicati dove si fanno sentire anche interessi sotterranei. Non è un caso forse che pure i politici albanesi siano stati riluttanti verso Eulex. "Ma da due giorni va tutto meglio - ci dice uno dei nuovi funzionari - perfino i bambini, prima ostili, dopo l'accordo ci salutano felici. Qui la cinghia di trasmissione dai vertici alla società sembra immediata...".

Si vedrà. Per ora siamo ai convenevoli iniziali, come quelli a cui assistiamo da lontano tra il sindaco di Peja e i delegati Eulex in visita di presentazione. Siamo nello stesso ristorante, perché anche noi ci dedichiamo ad un tour di incontri con associazioni e gruppi della società civile locale. La nostra sede è stretta e a volte fredda, per cui usiamo più volentieri questo spazio. Facciamo progettazione partecipata, nei fatti un confronto approfondito con ciascun partner sulle future attività. Peccato che la smania di Occidente abbia cancellato il tradizionale caffè turco, costringendoci ad accompagnare i lunghi colloqui col banale espresso. Restano comunque incontri belli, caldi, spaccato interessante di un Kosovo che raramente appare sulla stampa. C'è il Centro delle donne impegnato in una campagna contro la violenza domestica, tuttora tema tabù in questa società e forse non solo in questa. "E' sempre più difficile lavorare con le donne - ci dice la responsabile - anche per gli effetti negativi dell'intervento umanitario internazionale. Sono state abituate ad essere comprate, e ormai partecipano ad una riunione solo in cambio di uno shampoo o un dentifricio. E poi sono stufe di parole, vogliono vedere atti concreti". Un po' come per l'indipendenza del paese...

C'è la rete di consorzi contadini AgroDukagjini. Si confronta con l'esigenza di associare i piccoli produttori, e con un mercato fatto di regole spietate. "Qualche mese fa i grossisti non compravano più latte, e molti allevatori si sono venduti la mucca. Ora invece sono i cavoli a restare invenduti nei campi". Con un altro partner, uno dei primi operatori di turismo responsabile nato in Kosovo, ha avviato una campagna nelle scuole per favorire il cibo locale. E da poco ha aperto un piccolo punto vendita in proprio. Ma il confronto con i centri commerciali e i loro prodotti cinesi, o se va bene sloveni, è impari.

Andiamo anche al centro giovanile Zoom. Oggi si consegnano gli attestati per un corso di formazione sui nuovi media. "Come vorreste il futuro sito web?", chiede Pedja, uno degli organizzatori di OneWorld South East Europe. "Che non parli di politica - risponde subito un partecipante - ma di cose reali. Ad esempio del fatto che per trovare lavoro qui hai bisogno per forza di un protettore". E non è parlare di politica, questo? Ma in effetti è molto diffuso il discredito per le istituzioni, accusate di occuparsi di temi lontani e inutili. "E' arrivata l'indipendenza, ma non ancora l'elettricità", è una delle battute che circola. Nella piazza principale di Peja è arrivata anche una nuova fontana, chiaramente in onore all'indipendenza. Più impressionanti ancora sono memoriali e monumenti all'UCK, e in generale alla resistenza armata albanese, che stanno sorgendo un po' ovunque. Il conflitto tra memorie prosegue quello bellico, e per combatterlo non si risparmiano mezzi.

D'altro lato tuttavia va registrato un deciso calo nella tensione, almeno in quest'area. Dal villaggio enclavizzato di Gorazdevac, al cui ingresso c'è ancora un check point dei militari internazionali, i movimenti verso la città sono molto più frequenti. Addirittura la municipalità ha messo a disposizione un pulmino, e non sono più necessarie le "scorte disarmate" dei volontari prima italiani e poi locali. E' paradossale ma bello che l'Operazione Colomba, l'associazione garante di questo servizio, si stia ora interrogando su quali obiettivi nuovi darsi. Un cambiamento ulteriore si avrà quando Belgrado interromperà i finanziamenti alle strutture parallele sorte nelle aree serbe del Kosovo. Ce ne parlano come di una decisione imminente. "Si eliminerebbe un ostacolo alla normalizzazione - dice Sonja, volontaria qui da tre anni - ma insieme Gorazdevac si svuoterebbe. In tanti sono tornati o venuti apposta solo per i doppi stipendi garantiti dalla Serbia".

Normalità. Parola strana per un paese che ancora manca di pieno riconoscimento internazionale. E però se ne avverte il desiderio, in una società che si muove più velocemente dei suoi politici. Lo cogliamo nella riunione finale con tutti i partner locali. Emergono le collaborazioni tra di loro, magari piccole ma segno di legami in ricostruzione anche oltre il nostro intervento esterno: il Centro delle donne che si appoggia ai giovani per la sua campagna stampa, l'associazione per l'auto mutuo aiuto che vorrebbe sostenere i genitori dei disabili nel Centro per una vita indipendente, i tecnici di AgroDukagjini che insegnano ad altri gruppi come avviare piccole produzioni... Normali relazioni sociali. Non proprio normali però nel Kosovo degli ultimi anni.

Salutiamo perché dobbiamo tornare in aeroporto. Questa volta però l'aereo per Verona è in ritardo di due ore. Ecco, un po' di normalità italiana.


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