Prizren, 19 marzo: un caffè mentre le case del quartiere serbo vanno a fuoco (foto Paola Villa)

Mercoledì, a Pec/Peja, le organizzazioni della società civile italiana presenti in Kosovo si incontrano per discutere insieme sugli avvenimenti in corso nel Paese. Alcune prese di posizione sulla crisi.

22/03/2004 -  Andrea Rossini

Sono molte le associazioni e organizzazioni non governative (ong) italiane che mantengono progetti e interventi nel Kosovo, nonostante la regione sia rapidamente scomparsa dalla luce dei riflettori dopo gli eventi del 1999.

Assopace, Ics, Ipsia, Bergamo per il Kosovo, Volontariato Internazionale per lo Sviluppo, AiBi Amici dei Bambini, Tavolo Trentino con il Kosovo, Un ponte per, Associazione Papa Giovanni XXIII, Operazione Colomba, Coopi, Avsi, Caritas, Intersos e molti altri...
In questi giorni, tramite telefonate o messaggi di posta a volte drammatici, ci hanno aiutato a capire quanto stava accadendo, permettendoci di disegnare un quadro della situazione più ricco rispetto a quello che avremmo potuto comporre con il solo aiuto dei corrispondenti e delle agenzie.

A tutti loro va il nostro ringraziamento e la nostra solidarietà. Dopo la pubblicazione di interviste e diari degli operatori, riportiamo di seguito una breve rassegna dei numerosi comunicati stampa che ci sono prevenuti in questi giorni. Ricordiamo inoltre che mercoledì 17 p.v., alle ore 14.00, presso la casa di Bergamo per il Kosovo a Pec/Peja (Rruga Dardania 1/a), tutte le ONG italiane in Kosovo sono invitate ad un momento di confronto su quanto è accaduto in questi giorni. L'incontro è convocato "per un confronto in relazione ai fatti della settimana scorsa, per favorire lo scambio di informazioni e punti di vista, per provare a mettere insieme possibili interpretazioni e domande, per riflettere sul nostro ruolo qui alla luce di quanto accaduto e per farci un po' di chiarezza vista anche l'ondata di malainformazione giunta in Italia."

Associazione per la Pace

Gianni Rocco, portavoce nazionale della Associazione per la Pace, sottolinea nel comunicato stampa della organizzazione che: "Proprio a 5 anni dall'inizio della "guerra umanitaria" ... si sta evidenziando in tutta la sua drammaticità l'incapacità della Comunità Internazionale, dell'Europa e della Nato di venire a capo di una situazione che hanno voluto affrontare sul piano della forza, legittimando così gli estremismi: quello albanese che si é sentito il vincitore della guerra e quello serbo che, invece, si é sentito sconfitto e frustrato.
Non aver saputo o voluto poi, dopo la guerra, bloccare la contro pulizia etnica organizzata dall'estremismo albanese contro la popolazione serba ha fatto il resto. Mantenere una situazione congelata e senza sbocchi per un così lungo tempo non poteva che portare a nuovi scoppi di violenza. Quando alcuni segnali politici indicavano un orientamento positivo al dialogo e alla democratizzazione le forze nazionaliste hanno posto in essere la reazione che da tempo stavano organizzando.

ICS

Giulio Marcon, presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà (ICS), ha dichiarato che: "C'è una triste somiglianza fra quanto accade oggi in Kosovo e quello che continua ad accadere in Iraq: l'impossibilità di gestire la pace dopo la guerra. La guerra che ancora una volta si dimostra una scelta sbagliata per la risoluzione delle controversie internazionali, e che produce danni e conseguenze nefaste sul breve e sul lungo periodo." Il comunicato di Ics prosegue affermando che: "Grande è la frustrazione di chi, come ICS e Assopace, ha cercato in questi anni di continuare un lavoro dal basso con le comunità, provando a ricostruire un tessuto sociale coeso a partire dalla società civile, provando sempre una forte sensazione di straniamento e di solitudine, e denunciando nell'indifferenza generale quello che continuava ad accadere alle minoranze sempre più attaccate ed escluse di fatto dalla vita civile del Kosovo."

Volontariato Internazionale per lo Sviluppo

Antonio Raimondi, presidente del VIS, Volontariato Internazionale per lo Sviluppo, ha dichiarato che: "Questo è quello che succede se dopo un conflitto non si agisce sulle sue cause più profonde. Non basta garantire una pacificazione forzata con la presenza militare internazionale, in Kosovo dal 1999 e in Bosnia dal 1995, ma occorre lavorare sulla giustizia sociale e la riconciliazione, elementi essenziali per un pace vera e duratura. E' sconcertante la mancanza di fondi pubblici per co-finanziare i nostri progetti di formazione professionale, che portiamo avanti da oltre cinque anni, in tutta la Regione. Ci ripetono tutti che oggi le priorità sono altre, magari Afghanistan e Iraq. Chiediamo all'Italia, in primo luogo, di farsi garante nell'Unione Europea dell'effettiva realizzazione del Patto di Stabilità per i Balcani e poi di effettuare tutti gli sforzi diplomatici per risolvere in tempi brevi il futuro politico del Kosovo per evitare quella pesante incertezza che non giova allo sviluppo sociale, economico ed umano della Regione."

Amnesty International

Amnesty International Italia nel suo comunicato si dice "fortemente preoccupata per la situazionenella provincia del Kossovo, esprimendo preoccupazione anche per le azioni di rappresaglia compiute a Belgrado, Nis e in altri centri della Serbia."
Amnesty sottolinea poi che: "La perdurante incertezza sullo status finale del Kossovo, che dal 1999 e'sotto il controllo della Unmik (la missione delle Nazioni Unite, ndr), ha contribuito ad accrescere la tensione interetnica. Amnesty International ritiene che il ritorno della violenzaevidenzi il fallimento della Unmik, cosi' come delle autorita' della Serbia-Montenegro, nell'affrontare seriamente l'eredita' delle violazioni dei diritti umani commesse nel passato. Amnesty International sottolinea conestremo rammarico la mancanza di progressi negli ultimi quattro anni da
parte delle autorita' serbe nel portare di fronte alla giustizia iresponsabile delle 'sparizioni' di migliaia di albanesi del Kossovo, avvenute quando la provincia era amministrata dalla Serbia. Allo stessomodo, Amnesty International deplora la mancanza di progressi da parte delle autorita' kossovare nel portare di fronte alla giustizia i responsabili del rapimento di circa 1200 Serbi, Rom ed appartenenti ad altre minoranzeetniche."

AiBi, Amici dei Bambini

Marco Griffini, presidente di Amici dei Bambini, organizzazione presente in Kosovo dal 1999 con progetti di integrazione etnica a Fushe Kosova/Kosovo Polje, a Vushtrri/Vucitrn e nell'enclave serba di Priluzje, ricorda invece che: "Quello che sta accadendo in queste ore è il risultato di anni di disinteresse. Finita la guerra, spenti i riflettori, ci hanno lasciato soli. Siamo rimaste in poche ong a cercare di fare un lavoro di riconciliazione e dopo l'emergenza non si è speso un euro per lo sviluppo del rapporto interetnico nel Kosovo. Riconciliare e ricostruire è l'opera più difficile, ma i grossi investimenti dalla comunità internazionale sono stati fatti soltanto quando c'era l'emergenza".

Un ponte per

La associazione "Un ponte per", ricorda invece che: "A un anno dai bombardamenti in Iraq, per una guerra che corre il rischio di degenerare in guerra civile, si riaccendono gli odi di un'altra guerra mai finita, al di là delle menzogne raccontate, che il 24 marzo prossimo compie 5 anni: la guerra di aggressione alla Jugoslavia che la Nato, con l'Italia del governo D'Alema in prima linea, sferrò in nome della liberazione del Kosovo. ...Un Kosovo, oggi, sede della più grande base Nato in Europa e crocevia di un enorme traffico di droga, armi e prostituzione. Noi di Un Ponte per gli effetti di quella "liberazione" li abbiamo visti e vissuti in tutti questi 5 anni, nei volti delle famiglie profughe sostenute a distanza, nei volti dei ragazzini profughi che ospitiamo ogni anno, nei centri di accoglienza dove vivono queste migliaia di famiglie, centri che da provvisori si sono trasformati in definitivi, senza acqua, in condizioni igieniche disastrose, senza possibilità di un lavoro. Fra questi, famiglie che hanno vissuto il dramma della fuga dalle Krajne per ritrovarsi a viverne un altro, di dramma, la fuga dal Kosovo. ... Noi vogliamo, in questo momento di mobilitazione contro tutte le guerre, denunciare i disastri della miope politica, che al posto della diplomazia mette gli eserciti, che al posto della verità, usa la menzogna e la propaganda per creare consenso e che, come dimostrano le vicende di questi giorni in Kosovo e in Iraq, non risolve le crisi ma le alimenta."

Associazione dei Popoli Minacciati

La Associazione dei Popoli Minacciati (Bolzano, Göttingen), ricorda nel proprio comunicato stampa la situazione di pericolo che stanno vivendo in Kosovo non solamente la minoranza serba, ma anche "...le minoranze Rom e Ashkali, le minoranze non-serbe rimaste in Kosovo che sono nuovamente vittime di gravi violazioni dei diritti umani da parte di estremisti albanesi." Il comunicato ricorda gli episodi di violenza e l'incendio ad opera di estremisti albanesi delle abitazioni degli Ashkali nelle città di Vucitrn/Vushtri, Polje/Fushe e Lipljan/Llapje, e protesta nei confronti delle autorità tedesche per aver iniziato negli scorsi mesi a rimpatriare inKosovo i profughi Ashkali (nei mesi successivi all'intervento NATO, gran parte dei Rom e Ashkali che vivevano in Kosovo sono fuggiti dal Paese. Molti in Europa, 30.000 di loro sono ora in Germania.) Secondo le informazioni dell'Associazione per i Popoli Minacciati (APM), c'è inoltre da aspettarsi una nuova ondata di profughi Gorani a Sarajevo. Il comunicato stampa di APM segnala infine anche la difficile situazione dei Bosgnacchi che erano rimasti in Kosovo dopo il 1999.

Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII e Operazione Colomba

Il comunicato stampa congiunto della Associazione Papa Giovanni XXIII e della Operazione Colomba - Corpo Civile Nonviolento di Pace, riporta la situazione dei propri operatori che hanno scelto in queste ore di restare nella enclave serba di Gorazdevac, presso Pec/Peja, respingendo la richiesta Unmik di evacuare. Nella lettera degli operatori da Gorazdevac, si sottolinea che: "Questi ultimi avvenimenti mettono in luce il fallimento della modalità d'intervento della NATO, lo dimostra anche la scarsa capacità di protezione delle persone in questo momento, e delle Nazioni Unite in Kossovo. Così come è un fallimento il pensare di portare la democrazia e la pace attraverso la guerra. E non solo in Kossovo."

Vedi anche:

Kossovo: la quotidianità di una crisi

Kossovo: le reazioni internazionali

Violenza in Kossovo: oltre quel che appare

Kosovo: Un doloroso bivio

Proteste a Belgrado

Kosovo, la notte dei cristalli


Hai pensato a un abbonamento a OBC Transeuropa? Sosterrai il nostro lavoro e riceverai articoli in anteprima e più contenuti. Abbonati a OBCT!