Italiani in cerca di fortuna in Romania e viceversa. Per contrastare l'unilateralità del pregiudizio, l'associazione culturale italo-romena Decebal fa luce su aspetti poco conosciuti delle relazioni storiche fra Trieste e la Romania

21/04/2009 -  Anita Clara

In un momento particolarmente critico per l'immagine dei romeni in Italia, l'associazione culturale italo-romena Decebal mantiene e rinnova il suo proposito di favorire l'apertura e la comunicazione fra i due paesi promuovendo attivamente la cultura romena e l'integrazione dei romeni in Italia. Costituita nel 1987 su iniziativa di Ervino Curtis, Decebal (che prende il nome dall'ultimo re dei Daci sconfitto da Traiano nel 105 d.C.) è, dopo la Fondazione Europea Dragan (1967), la più antica associazione italo-romena fondata in Italia.

«Attualmente i media italiani riflettono la preoccupante ignoranza che lo stesso popolo italiano coltiva nei confronti della Romania e dei romeni, spesso confusi con la popolazione rom - osserva Ervino Curtis. Nessuno riflette sul fatto che il grande numero complessivo dei romeni presenti in Italia eleva statisticamente il numero dei romeni che delinquono: in una stampa che si focalizza soltanto sulla cronaca nera, non fanno notizia i lavoratori romeni che pagano le trattenute dell'INPS per i pensionati italiani, o i bambini che riempiono le aule delle scuole impedendo pesanti ridimensionamenti del personale scolastico, o le badanti che sopperiscono alle carenze e difficoltà di società e famiglie nella cura degli anziani. Lo stesso vale per i lavoratori nei settori di agricoltura e pastorizia che contengono la crisi del settore agroalimentare, o quelli dell'industria e dell'edilizia - che accrescono i dati vergognosi delle morti sul lavoro».

L'incontro con la Romania nel 1971 - in qualità di direttore dell'Ufficio Studi e Rapporti Internazionali del Porto di Trieste - ha portato Ervino Curtis ad amare profondamente il popolo romeno, la sua cultura, le sue tradizioni, il suo territorio: dal suo sguardo diplomatico, ma anche e soprattutto umano, ha visto da vicino pregi e aberrazioni del regime di Ceausescu, poi della rivoluzione e infine del post-comunismo che sta lentamente traghettando la Romania in Europa. Parallelamente, la sua vita personale si andava intrecciando sempre più strettamente con il paese: dopo 4 anni di battaglie burocratiche, infatti, si è felicemente sposato con un'agente di commercio romena. Questa passione pubblica e privata l'ha portato a raccogliere e sviluppare rapporti economici, politici e culturali tra le istituzioni pubbliche e private romene e triestine che perdurano tuttora.

«La città di Trieste, con la sua vocazione internazionale e il suo sguardo perennemente rivolto ad Est, ha sempre nutrito interesse per la Romania. Tracce dei legami fra i romeni e Trieste si reperiscono addirittura nella mitologia greca, dove si narra che gli Argonauti, dopo aver navigato il Danubio, arrivarono non lontano da Targestum. In tempi più recenti, le relazioni culturali e commerciali sono testimoniate, ad esempio, dal fatto che nel 1975 le navi del Lloyd Triestino erano le più numerose nel porto di Costanza, ed è proprio nei cantieri triestini che è stata costruita la prima cannoniera per lo stato romeno». Le relazioni tra il Friuli Venezia Giulia e la Romania hanno anche un tocco sentimentale: numerosi sono i matrimoni misti che in passato sono stati favoriti dalla linea marittima che collegava Monfalcone con il porto di Braila.

Secondo le stime di Padre Osedio della parrocchia romena ortodossa di Trieste, oggi sono circa 2.000 i romeni che abitano tra il capoluogo giuliano e Monfalcone (Gorizia). Una presenza che è cresciuta nel tempo, dalle poche decine del dopoguerra al forte incremento conosciuto dopo la caduta del comunismo, e ancor più in seguito all'ingresso della Romania nell'Unione Europea. Tuttavia, anche se i romeni sono di solito associati ai flussi migratori verso l'Italia, un recente rapporto della Caritas mette in luce come la Romania sia anche un'area di passaggio e di insediamento per cittadini ucraini, moldavi e serbi, nonché cinesi, bengalesi, pakistani e indiani - reclutati per colmare la penuria di manodopera. Inoltre, in passato la Romania è stata terra d'immigrazione anche per molti italiani: 130.000 vi si trasferirono tra la fine dell'Ottocento e la seconda guerra mondiale. Tra questi, c'erano le golondrinas (rondini) friulane, cioè i lavoratori stagionali che facevano la spola tra i due paesi per ridurre al minimo i periodi di disoccupazione.

Ervino Curtis, che - oltre ai frequenti soggiorni in Romania - risiede fra Trieste e Forgaria nel Friuli, ha scoperto proprio in questo comune della provincia di Udine un nucleo di cittadini appartenenti alla prima emigrazione friulana, che attorno al 1870 scelsero di emigrare in Romania in cerca di fortuna. «Si tratta di un fenomeno durato fino alla Seconda guerra mondiale, quando anche chi aveva là la propria impresa dovette lasciare tutto o cambiare cognome». La maggior parte tornò quindi nella terra d'origine, come l'anziano "Nini", che era partito a 15 anni e poco prima di morire ha lasciato al fondatore di Decebal una delle ultime testimonianze di quel capitolo di storia friulana.

Tra le iniziative di Decebal c'è anche l'insolita mostra «Istroromeni (Cicci e Ciribiri)» dedicata a lingua, storia e cultura della minoranza di origine romena che sopravvive all'interno dell'Istria parlando un dialetto neolatino simile a quello della Dacia, e che rappresenta una delle culture derivanti dalla frammentazione dell'Impero romano nei Balcani. In seguito alle invasioni barbariche nel sud-est Europa, culminate nell'ultima calata di Tartari a metà del Duecento, e a fronte della crescente pressione dei Turchi, popolazioni di lingua e cultura latina dell'ultima provincia romana, la Dacia, si spostarono verso la Dalmazia, prendendo anche la denominazione di Morlacchi e di Uscocchi. In seguito, insediamenti morlacchi si trovarono anche sull'isola di Veglia, a Spalato e, più a nord, nel Friuli e nel Veneto. La dinamica dell'insediamento nell'Istria rimane ancora oscura: è chiaro soltanto che dal Quattrocento, per oltre un secolo, due comunità discendenti dai romeni si stabilirono nella zona settentrionale e meridionale del monte Maggiore.

Se la lingua romena è stata definita da Ion Bratianu come un enigma e un miracolo, ancor più enigmatico e miracoloso è l'istroromeno, oggi parlato unicamente a Seiane e a Valdarsa (Croazia) da poche centinaia di persone perlopiù anziane - e quindi in pericolo di estinzione. La curiosità è che esistono testimonianze storiche della presenza di questa gente, detta «cicci e ciribiri», anche nella città e nel contado di Trieste almeno fino al Settecento. Alla fine dell'Ottocento, grazie alle relazioni umane instauratesi tra istroromeni e triestini, i trovatelli dell'Istituto di Trieste venivano affidati alle famiglie istroromene, che si occupavano della loro crescita.

La mostra - allestita finora a Trieste, Venezia, Timisoara e Sibiu - propone stampe, fotografie, cartine geografiche, cartoline e libri: una raccolta di materiale che permette di esplorare luoghi, costumi, usi e tradizioni di questa popolazione per lo più sconosciuta.

Mossi dallo stesso spirito con cui difendono una civiltà quasi perduta come quella degli istroromeni, Ervino Curtis e la moglie Elena Pantazescu esprimono il loro impegno per la Romania attraverso molteplici attività sociali e puntando sull'urgenza di dare una giusta accoglienza agli immigrati romeni e alle loro famiglie in Friuli Venezia Giulia e nel resto d'Italia.


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