Il CeSPI ha pubblicato un'analisi di Andrea Stocchiero sui nodi della cooperazione decentrata in Italia, fra grande attivismo e mancanza di sistema. Nostra sintesi e commento

23/10/2007 -  Mauro Cereghini

La cooperazione decentrata è un fenomeno che ha superato i quindici anni di storia in Italia, eppure continua a mantenere contorni indefiniti. Per questo è apprezzabile lo sforzo di Andrea Stocchiero, vice-direttore del Centro Studi di Politica Internazionale, verso una sintesi di quali siano oggi le tendenze e le principali sfide in atto. E' lo sforzo di un soggetto esso stesso 'interno' al mondo della decentrata - il CeSPI è coinvolto come organismo di expertise a supporto di diversi processi di partenariato territoriale - ma che sa mantenere anche l'occhio esterno del ricercatore.

Riesce perciò ad enucleare quattro punti critici di quella che per certi versi è la cooperazione oggi più alla moda: l'intreccio delle motivazioni, fra spinte solidaristiche e interessi di business; l'assenza di un coordinamento verticale tra livelli amministrativi (comuni, province, regioni, governo, agenzie internazionali...); e di uno orizzontale tra attori diversi sul piano internazionale e nei luoghi di intervento; infine l'impatto variabile e difficilmente misurabile di questa nuova modalità di cooperare. Vediamoli brevemente uno ad uno.

L'analisi

Anzitutto il nodo delle motivazioni. E' "evidente - scrive Stocchiero - l'interesse delle Autonomie locali, soprattutto delle Regioni, a intrecciare la cooperazione decentrata con la paradiplomazia, l'internazionalizzazione e il marketing territoriale, il co-sviluppo". Ragione per cui gran parte della decentrata italiana si concentra verso aree prossime come i Balcani ed il Mediterraneo, mentre restano trascurate quelle di povertà estrema. E nel farlo rischia a volte di confondere i piani, "tra commercio e aiuto, tra lotta alla povertà, crescita economica e sostenibilità, tra difesa delle culture e dei diritti umani, tra relativismo e universalizzazione". L'idea di co-sviluppo, cioè di politiche sociali ed economiche concertate tra Nord e Sud del mondo in base a principi di reciprocità ed interdipendenza, cerca di dare coerenza a tali piani. Ma al momento fatica a trasformarsi da idea a progetto politico, a prassi concreta.

Il secondo nodo sta nel caos delle relazioni multi-livello, anche alla luce delle recenti riforme costituzionali che hanno aumentato le competenze di Regioni, Province e Comuni. Tali riforme d'altro canto hanno riconfermato in via esclusiva allo Stato la competenza in materia di politica estera, di cui la cooperazione allo sviluppo è parte integrante. Si sono creati così scollamento e confusione di ruoli tra livelli istituzionali, in particolare tra governo e autorità regionali e locali. Queste a loro volta solo in pochi casi hanno costituito un sistema coordinato al loro interno, che assegni alle regioni il ruolo di programmare la strategia e definire i partenariati, e a province e comuni - più vicini ai territori e alle specifiche competenze locali - quello di realizzare concretamente gli interventi. Più spesso i diversi livelli amministrativi si ignorano reciprocamente o addirittura si pongono in concorrenza, specie se di diverso colore politico.

Dello stesso ordine è il problema del mancato coordinamento tra attori diversi ed eterogenei, con la cooperazione decentrata spesso più impegnata ad esaltare le specificità dei singoli che il valore del mettersi in rete. Stocchiero ipotizza diversi fattori che determinano la scelta tra autonomia e azione collettiva, a partire ovviamente dalla volontà politica delle autorità locali. Questa è influenzata tra l'altro dal rapporto con i portatori di interessi sul territorio, nonché dal bisogno più o meno marcato di visibilità. Altro fattore è la disponibilità dei soggetti locali ad investire risorse a favore di un'azione collettiva, disponibilità che sarà più ampia quanto più quegli attori si porranno un obiettivo generale - influenzare determinate policy geografiche o tematiche - anziché limitarsi a curare i propri progetti. Dipenderà inoltre dalla fiducia assegnata al coordinamento, e da elementi oggettivi quali la disponibilità di risorse proprie e di normative adeguate. Infine, la scelta del lavoro in rete è legata all'esistenza o meno di incentivi esterni, quali bandi di finanziamento che lo richiedano. Finora l'interazione fra questi fattori ha prodotto una profonda frammentazione, peraltro comune a tutta la storia della cooperazione allo sviluppo (tra i diversi paesi donatori, tra agenzie internazionali...), così come alla struttura interna delle singole amministrazioni (tra direzioni generali di ogni ministero, tra assessorati regionali differenti...).

In ultimo viene il nodo dell'efficacia: rispetto all'ipotetico valore aggiunto della decentrata, qual è - si chiede Stocchiero - la concretizzazione effettiva? Nell'esperienza italiana, si mostra effettiva la capacità, o per lo meno la forte spinta, a mobilitare competenze e saperi dei territori. Allo stesso modo crescono le amministrazioni che mettono in campo anche il proprio stesso expertise, attraverso strutture interne ed enti collegati, sebbene a volte si scontrino con risorse umane e competenze a volte scarse. Meno evidente invece la capacità della decentrata di incidere sulla visione politica complessiva delle amministrazioni, orientandola verso un'idea di co-sviluppo transnazionale. E ancor meno per l'autore quella di mobilitare risorse finanziarie locali, cosa che rende anche la decentrata dipendente dai programmi multilaterali, nazionali o regionali.

Amare le conclusioni: "Al fondo di tutto ciò rimane una questione essenziale: non è conosciuta l'efficacia della cooperazione decentrata nei termini di contributo al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del millennio così come in quelli di co-sviluppo".

Le proposte

La pubblicazione del CeSPI nasce da una specifica richiesta del Coordinamento Enti Locali per la Pace, anche per aggiornare il suo documento "Il Dovere di Cooperare" del 1996. In conclusione pertanto riporta una serie di raccomandazioni per il mondo della cooperazione decentrata e in particolare per i decisori politici. In gran parte si tratta di risposte ai nodi problematici sopra descritti, a volte tramite indicazioni generali - "valorizzare l'apporto dei diversi attori territoriali per lo sviluppo locale" - altre con indicazioni più puntuali. E' il caso della richiesta al Ministero degli Esteri di programmi geografici e tematici precisi, a carattere pluriennale, per rafforzare e coordinare le reti di istituzioni locali esistenti. Diverse indicazioni sono interessanti e già dibattute in più sedi, come l'opportunità di far convergere decentrata e cooperazione territoriale, processo avviato con i nuovi strumenti comunitari IPA ed ENPI; l'esigenza di integrare e dare coerenza a politiche settoriali differenti (cooperazione, internazionalizzazione economica, politiche di sicurezza, culturali...); la necessità di introdurre le comunità migranti nel quadro dei partenariati territoriali.

Un commento

Avanzare proposte ambiziose comporta sempre il rischio di farle apparire un libro dei sogni. Ma questo è un problema di chi deve attuare le indicazioni, non tanto del ricercatore che le offre. Peraltro le proposte di Stocchiero sono uno stimolo molto utile in un panorama altrimenti povero di riflessione ed elaborazione. Forse perché anche il mondo della decentrata, come quello della cooperazione in generale, si è fatto prendere dalla sindrome del fare, dell'inseguire progetti e interventi fino a togliere spazio al pensiero. O forse perché ogni attore si è ritagliato uno spazio di autonomia, e più che contaminarsi a vicenda l'obiettivo pare quello di preservare il proprio orticello. Fino a perdere di vista non solo chi si muove attorno a loro, ma perfino chi dovrebbe essere loro partner nella relazione. Così la partecipazione delle controparti nei paesi in via di sviluppo o in transizione, pur sempre decantata, raramente si manifesta nelle fasi più importanti, quelle di costruzione delle politiche e degli strumenti di intervento. E anche lo scritto di Stocchiero lascia ai margini il tema di una reale parità e reciprocità tra chi entra in una relazione di cooperazione, mentre pone in primo piano gli attori italiani della decentrata e le loro divisioni.

Spesso inoltre le istituzioni governative sembrano voler riaffermare la propria centralità, piuttosto che porsi al servizio del "Sistema Italia". E viceversa le Regioni interpretano il ruolo di ministeri in scala ridotta, anziché di promotori di sintesi e partecipazione del territorio. In questa luce si può leggere anche la volontà sempre più esplicita degli attori istituzionali di differenziarsi dalla cooperazione "non governativa", che sia delle ong tradizionali o delle nuove forme di partecipazione locale. Nel crescere del fenomeno decentrata, per una bella fetta avvenuto lungo le strade dei Balcani, le autonomie regionali e locali si sono mosse al traino più che alla guida della propria società civile, verso cui proporsi quali punti di riferimento. E tuttora assistiamo a esperienze che esprimono diverse forme di equilibrio tra protagonismo istituzionale e partecipazione civica.

Molto spesso invece le rappresentazioni della decentrata, a partire dalle linee guida del Ministero degli Esteri fino ad arrivare al paper qui presentato, sembrano sottovalutare tale ricchezza, e racchiudere il fenomeno alla sola dimensione dell'ente pubblico. L'Osservatorio sulla Cooperazione decentrata tra Unione Europea e America Latina, promosso dalla Deputazione di Barcellona, ha scelto a questo proposito di chiamarla "cooperazione decentrata pubblica", proprio per segnalare che non esaurisce l'intero fenomeno. In modo più radicale ancora, si potrebbe forse abbandonare del tutto il concetto di decentrata - che richiama comunque un "centro", quasi che i protagonisti della cooperazione ne fossero delle appendici - per ragionare di una cooperazione a partire dalle comunità, come insieme complesso e mutevole di istituzioni, società civile organizzata e singole persone di un territorio. Ma questo è un tema che va molto oltre l'utile rapporto prodotto dal CeSPI. Già iniziare a ragionare diffusamente dei nodi che questo pone sarebbe un primo, importante passo avanti.

Leggi il rapporto del CeSPI Working Papers 37/2007


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