"Per non dimenticare Anna Politkovskaya: Cecenia, Russia, Europa": intervista a Francesco Strazzari

26/03/2007 -  Andrea Rossini

Francesco Strazzari (Bologna, 1970) ha conseguito il dottorato di ricerca presso l'Istituto Universitario Europeo di Firenze con una tesi sui conflitti etnonazionali. Attualmente insegna relazioni internazionali presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell'Università di Amsterdam. E' intervenuto venerdì 23 marzo a Trento al convegno organizzato da Osservatorio sui Balcani, Comitato per la Pace nel Caucaso e Ordine dei Giornalisti del Trentino Alto Adige
Qual è l'elemento che accomuna i diversi Stati e le repubbliche della regione caucasica?
Innanzitutto un'eredità non elaborata: quella di una miriade di conflitti e guerre che sono congelati dal momento del crollo dell'ex Unione Sovietica. Sia i tre stati indipendenti della regione transcaucasica (Armenia, Georgia e Azerbaijan) che le diverse repubbliche della Federazione russa, nel Caucaso settentrionale, portano le ferite di questo passato. Sono cicatrici che continuano a bruciare e a produrre conseguenze. Il primo conflitto etno-nazionale ad insanguinare la periferia europea è avvenuto proprio qui, nel Nagorno Karabakh, alla fine degli anni '80. Dal 1994 è congelato, ma non risolto. Solo per questa guerra si parla di un milione di profughi e di 40.000 morti. Da lì in poi molti altri conflitti sono venuti alla luce. Il più noto in Europa è probabilmente quello ceceno, ma solo la Georgia ne ha due in casa: quello in Ossezia del sud e quello in Abkhazia, dove la Russia sostiene de facto la leadership separatista di Sukhumi. Il punto è che ognuna di queste guerre è legata alle altre, e non è ancora chiaro quale principio debba essere utilizzato per dirimere le controversie, se quello dell'autodeterminazione dei popoli, dell'integrità delle frontiere o del rispetto dei diritti dell'uomo e delle minoranze.
Diverse analisi insistono sul presentare il Caucaso come terreno di uno scontro a distanza. E' corretta questa lettura?
C'è sicuramente uno scontro che si sta ridefinendo tra la Russia, che procede verso una involuzione autoritaria, e una posizione statunitense sempre più assertiva. L'intenzione dichiarata dagli americani di installare delle postazioni missilistiche nel Caucaso ha provocato una forte reazione a Mosca, che considera con preoccupazione anche il percorso di avvicinamento tra la Georgia e la Nato. La Russia ha più volte ribadito che non accetterà mai che la Nato avanzi nel Caucaso.
Qual è la posizione europea in tutto questo?
L'Europa si situa in una posizione intermedia, in parte condizionata dalla sua dipendenza energetica. Una posizione che potremmo sintetizzare con le parole dell'ex cancelliere tedesco Schroeder, secondo cui non bisognava giudicare la Russia attraverso il prisma della Cecenia. Ma il paradosso nell'atteggiamento europeo è la sua chiusura, proprio nel momento in cui si appresta a celebrare il suo cinquantesimo anniversario. Nei confronti del Caucaso la porta è stata chiusa, le relazioni vengono circoscritte all'interno della cosiddetta politica di vicinato e non viene neppure menzionata la possibilità di ulteriori allargamenti.
Qual è il ruolo che può svolgere la società civile europea nella regione?
Un ruolo fondamentale di tutela, nel quadro dello scambio evidente che sta avvenendo tra diritti umani ed energia. Bisogna piantare dei paletti che non possano essere superati sotto il profilo della protezione di diritti fondamentali. C'è un ruolo importante da svolgere anche sul terreno dell'informazione, perché non vengano offuscati i processi in corso. Basti considerare il ruolo svolto dalla società civile e dai media indipendenti in Cecenia, dove ad esempio in questo momento i dati che abbiamo a disposizione provengono soprattutto dal lavoro di associazioni come Memorial.
Perché in generale così poca attenzione per quanto sta avvenendo in Russia e nel Caucaso?
Nella nostra società non c'è curiosità per i perdenti, e la Russia è considerata tale, avendo perso con la guerra fredda il lungo confronto con l'Occidente. Si è affermato uno stereotipo semplicistico, che spiega l'attuale situazione politica con la categoria del dispotismo asiatico. Credo invece che l'ideologia putiniana attinga dal pensiero conservatore occidentale molto più che dal dispotismo asiatico. Inoltre la stella russa, trainata dal petrolio, è in costante ascesa. Quello che avverrà nella periferia tra Russia e Europa nei prossimi 20 anni sarà determinante per il mondo in cui vivremo.


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