Sul monte Bjelasnica - tratta da www.gss-sarajevo.com

Il Soccorso alpino bosniaco era molto efficiente. Dopo la guerra si ritrova diviso da un confine e funziona solo grazie al lavoro di volontari. Nostra intervista

17/10/2007 -  Nicole Corritore

Di recente, una delegazione del Soccorso Alpino bosniaco ha partecipato ad un corso di formazione tecnica in Trentino, organizzato nell'ambito delle attività di cooperazione decentrata della Provincia di Trento con la Bosnia Erzegovina. Un'intervista al presidente della stazione di Soccorso Alpino di Sarajevo, Adnan Podzo

Come funziona oggi il Soccorso Alpino a Sarajevo e nel resto del paese?

La stazione di Sarajevo del Soccorso Alpino (GSS - Gorska Sluzba Spasavanja) venne fondata nel 1957. Tutte le stazioni di soccorso della Bosnia Erzegovina non hanno funzionato a lungo, a causa dell'ultimo conflitto. A Sarajevo abbiamo ricominciato solo nel 1997 con le attività, che vengono gestite da un consiglio di 7 membri, tutti volontari.

Inoltre, a seguito della guerra il Soccorso Alpino del paese si ritrova diviso. Fino allo scoppio del conflitto, in Bosnia Erzegovina esistevano nove stazioni di soccorso. Di queste, nella Federazione hanno ricominciato con le attività, oltre alla nostra, solo quelle di Mostar, Gorazde, Zenica, Travnik e Donji Vakuf. Mentre non ci sono più quelle di Jablanica, Bihac e Banja Luka e in Republika Srpska oggi esiste una sola stazione, quella di Pale.

Tutte le stazioni della Federazione fanno parte della "Commissione GSS" e sono associate all'Unione Alpinisti (Planinarski Savez) la quale è membro dell'IKAR-CISA (International Commission for Alpine Rescue). Il dott. Elezovic Tigran, che ha fatto parte della delegazione che di recente ha partecipato ad un corso di formazione tecnica in Trentino grazie ad un progetto di cooperazione internazionale, è inoltre uno dei 15 membri del consiglio direttivo della federazione internazionale IKAR-CISA.

Negli ultimi tempi abbiamo grossi problemi finanziari: non riceviamo alcun aiuto di tipo istituzionale, né dal comune, né dal cantone o dallo stato. Cerchiamo quindi di coprire le spese con la raccolta di donazioni private, tramite conoscenti ed amici, soprattutto per l'attrezzatura, senza la quale non è possibile offrire alcun tipo di soccorso. L'attrezzatura che possediamo presso la stazione risale a prima della guerra ed è poca, perché in gran parte è andata distrutta o saccheggiata durante il conflitto. Quindi, ad esempio, quando organizziamo dei corsi o delle esercitazioni siamo obbligati a farli usando a rotazione le attrezzature personali di noi volontari, che possediamo in quanto alpinisti.

Con il passare del tempo però queste si usurano ed essendo molto costose presto ci ritroveremo a non poter continuare con le attività. Per ora il gran numero di volontari e associati, che danno la disponibilità ad altri di usare la propria attrezzatura, in qualche maniera tamponano il problema. Al momento gli iscritti presso la stazione di Sarajevo sono circa 50, di cui la metà è rappresentata da giovani sui 35-40 anni che sono preparati ad operare in qualsiasi condizione di emergenza. Però con il tempo potrebbe anche diminuire il numero dei volontari e il problema divenire insormontabile.

Come mai il Soccorso Alpino non viene sostenuto dalle istituzioni locali? Quali le differenze rispetto a prima della guerra?

Gli impianti sportivi sui monti attorno a Sarajevo sono stati costruiti in occasione delle Olimpiadi invernali del 1984. Allora il Soccorso Alpino funzionava egregiamente, era considerato un vero lavoro e avevamo tutto ciò di cui c'era bisogno per offrire il servizio con i più alti standard di qualità. E' stato un periodo d'oro: si lavorava finanziati dallo stato in condizioni ottime, con una quantità di attrezzature anche in eccesso. Con l'ultima guerra tutto si è fermato.

Oggi, ad esempio, gli impianti di risalita sopra la città di Sarajevo sono gestiti da un'azienda privata. Non esistono cannoni per la neve artificiale, né sul Bjelasnica né sul monte Jahorina, per cui si scia solo su neve naturale per circa 2-3 mesi l'anno. Durante questo periodo veniamo ingaggiati da quest'azienda ma senza onorario. In cambio del nostro servizio ci danno semplicemente la possibilità di sciare gratuitamente, nonostante noi si offra pieno servizio di soccorso agli sciatori che si fanno male, a coloro che si perdono o che hanno bisogno di aiuto per scendere lungo le piste perché non sono in grado di farlo da soli.

Tutt'oggi chi ci governa non considera il Soccorso Alpino un servizio necessario. In realtà tutti i politici che abbiamo avuto modo di incontrare, dal sindaco di Sarajevo fino ai rappresentanti del Cantone e della Federazione, dicono di comprendere l'importanza del servizio... ma poi quando si arriva a chiedere di finanziare, ad esempio, l'acquisto di attrezzatura, cala il silenzio e non si muove nulla.

Eppure vi è capitato di dimostrare più volte quanto il servizio sia necessario...

Che sia necessario lo dimostra ad esempio un fatto accaduto di recente. Un soldato olandese, che fa parte della Polizia europea in missione in Bosnia Erzegovina, si è smarrito sul monte Bjelasnica. La ricerca è durata tutto il giorno e l'abbiamo trovato alle tre di notte. L'accaduto ha però ha avuto poca eco sulla stampa, come d'altronde hanno ricevuto poca attenzione tutte le nostre lettere, le nostre richieste e i nostri appelli precedenti.

A noi bosniaci che "viviamo" la montagna ma anche a coloro che stanno fuori dalla Bosnia Erzegovina, in Croazia ad esempio, è chiara la necessità di avere un forte Soccorso Alpino, soprattutto se lo pensiamo legato alle alte potenzialità turistiche alpine che ha il nostro paese. Mentre pare che alle autorità, coloro che guidano oggi il paese, questo messaggio non sia così chiaro.

Ha detto che il GSS oggi è diviso tra Federazione e Republika Srpska. Come sono i rapporti tra le due parti?

Purtroppo ci sono ancora delle divisioni, sebbene sia più una divisione politica che vera divisione tra singole persone o gruppi. Voglio sottolineare che la mentalità del soccorritore mette l'appartenenza nazionale, o qualsiasi altro tipo di appartenenza, in secondo piano rispetto all'individuo e questo lo dimostra il rapporto che abbiamo con i nostri "vicini" di casa.

Oggi in Republika Srpska c'è solo la stazione di Pale, che si ritrova assurdamente divisa da noi, nonostante sia solo dall'altra parte del monte Jahorina. Abbiamo ottimi rapporti con tutti loro, dal presidente ai singoli volontari e ci aiutiamo a vicenda. D'inverno, se ci sono delle gare importanti, loro ci prestano l'attrezzatura, perché noi abbiamo molti soci ma come già detto poca attrezzatura. Viceversa noi offriamo loro volontari, perché hanno pochi soci e attrezzatura in eccesso.

Abbiamo anche partecipato ad un'azione comune. Non ci siamo fisicamente incontrati ma ci siamo messi insieme a cercare un turista croato di Dubrovnik che si era smarrito sul monte Jahorina. Il monte Jahorina è particolare perché si trova proprio tagliato a metà dal confine tra la Federazione e la Republika Srpska. Per cui noi abbiamo fatto il lavoro di ricerca da una parte e loro dall'altra. Ci sentivamo via radiotrasmittente e l'abbiamo trovato, anzi per l'esattezza l'hanno trovato loro, vivo e vegeto in un rifugio abbandonato.

Quindi la collaborazione è molto stretta...

Esatto, ai livelli più bassi ce n'è e molta. Personalmente ritengo importante che ci sia, che esista questo tipo di comportamento tra singoli e continuo a sperare che prima o poi coloro che ci governano cambieranno, o per lo meno si "rinsaviranno" e cominceranno anche loro a sostenerci e a sostenere questo tipo di relazioni.

Avevamo anche organizzato insieme un corso su iniziativa del GSS della Federazione, che essendo membro dell'ICAR è l'unica istituzione di settore che può rilasciare certificati riconosciuti. Ai ragazzi della stazione di Pale era di interesse ottenere il "diploma" di soccorritore valido a livello internazionale. Per cui l'anno scorso ci eravamo preparati a realizzare un seminario di soccorso alpino invernale che però, essendo caduta pochissima neve, abbiamo dovuto rimandare. E' in programma per quest'inverno e sarà la prima volta, dopo la guerra, che si svolgerà un corso di formazione del settore in comune tra Federazione e Republika Srpska.

Quali altre relazioni avete al di fuori del territorio della Bosnia Erzegovina?

Abbiamo un ottimo rapporto con il Soccorso Alpino della Croazia e nella situazione odierna, in cui la Bosnia Erzegovina e la Croazia sono due paesi indipendenti, possiamo definirlo un rapporto "internazionale". Con il Soccorso croato c'è una grande collaborazione: ad esempio, da due anni i nostri volontari partecipano al ritrovo tradizionale di migliaia di alpinisti che si tiene sul monte Paklenica, mettendosi a disposizione in caso di improvvise operazioni di soccorso di una certa portata.

Per quanto riguarda altre relazioni internazionali, i nostri membri partecipano sempre agli incontri organizzati annualmente dall'ICAR-CISA, assieme a uomini del soccorso alpino di paesi di tutto il mondo. In questi incontri si condividono nuove tecniche di soccorso, si studiano nuove attrezzature, si discutono linee comuni di aiuto in alta montagna. L'anno scorso si è tenuto in Slovenia, a Kranjska Gora e quest'anno si svolgerà in Svizzera. Abbiamo rapporti anche con la Slovenia, per quanto il mantenimento dei contatti e la frequentazione sia più difficile perché è geograficamente più lontana rispetto alla Croazia e le nostre possibilità di movimento dipendono dai fondi che abbiamo a disposizione.

In quali condizioni ambientali si trovano le montagne di Sarajevo? Come affrontate il problema delle migliaia di mine che sappiamo essere state distrubuite sul terreno durante il conflitto?

In Bosnia Erzegovina c'è la MAC (Mine Action Center), un'organizzazione che si occupa di sminamento che ha quasi tutte le mappe delle zone minate e di cui abbiamo ottenuto una copia. Abbiamo anche partecipato ad un corso per imparare a riconoscerle ed evitarle nel caso dovessimo ritrovarci nelle vicinanze. Finora non ci è mai successo, né di dover salvare qualcuno che fosse finito su di un campo minato né di essere finiti noi stessi su di un campo minato.

Le mappe ci sono quasi tutte e le zone minate sono per la gran parte segnalate sul territorio: delimitate da nastri gialli, cartelli e indicazioni. Inoltre, quasi tutti conosciamo quali sono state le zone teatro dei maggiori scontri armati dell'ultima guerra e che sono potenzialmente minate. Ciò non toglie che le nostre montagne sono "avvelenate" dalle mine e gli alpinisti si sentono in qualche modo "disabili". Perché ad esempio la Treskavica, una montagna spettacolare vicino a Sarajevo che ha 13 splendidi laghi d'alta montagna, è piena zeppa. E' possibile andarci in sicurezza lungo sentieri tracciati ma dai quali non puoi uscire di un passo. E' un limite terribile, che mi fa sentire limitato nella mia libertà, non solo di alpinista.

Come pensa sia possibile uscire da questa situazione, nel futuro prossimo?

Ci vuole lo sforzo di tutti, nessuno escluso, dentro e fuori dal paese. Innanzitutto è necessario che i nostri legami di collaborazione "dal basso" vengano supportati anche dalle istituzioni. Non pretendo che esse lo facciano con l'intento dichiarato di sostenere chi lavora senza divisioni... ma almeno capendo che sostenere il Soccorso Alpino vorrebbe dire dare una spinta al settore turistico e quindi offrire una boccata d'ossigeno all'economia del paese che, come sapete, versa ancora in condizioni pessime. E penso che i soggetti "internazionali" che ci aiutano o che hanno intenzione di sostenerci, debbano in qualche modo supportare questo tipo di percorso.

Si veda anche l' di Balcanicooperazione relativo alla delegazione del Soccorso Alpino bosniaco che ha partecipato al corso di formazione tecnica in Trentino alla fine di settembre 2007.


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