Bozidar Stanisic, Bon voyage

Sono scrittori ed artisti provenienti dalla ex Jugoslavia. Una volta arrivati in Italia hanno iniziato a scrivere nella nostra lingua. Una tesi di laurea indaga su questa specifica ed interessante produzione letteraria, su quest'incontro tra realtà culturali diverse ed eterogenee

04/04/2006 - 

Di Barbara Ronca

L'ultimo conflitto balcanico ha spesso drammaticamente posto fine, negli anni Novanta del Novecento, alla convivenza nella regione di una moltitudine di gruppi etnici, religiosi e linguistici che per alcuni decenni aveva costituito un "miracolo" di tolleranza cui l'Europa tutta guardava con ammirazione.

Non solo in questo, naturalmente, risiede la sua tragicità: il conflitto si è infatti accompagnato ad una delle più recenti e disperate diaspore mondiali: quella dal mondo ex della Jugoslavia.

Molte sono state le riflessioni nate attorno a questo 'corto circuito' della nostra storia recente; ma come esso abbia influito, da un punto di vista strettamente culturale e letterario, sulla nostra identità di 'europei', è una questione ancora tutta da indagare.

In questa tesi si analizzano le opere letterarie di alcuni autori provenienti dalla ex-Jugoslavia, i quali, arrivati in Italia, hanno cominciato a scrivere nella nostra lingua, inserendosi quindi nel solco della nostra letteratura.

La loro produzione letteraria riveste una particolare importanza: prima di tutto perché, come ogni scrittore migrante, essi, vivendo in un paese diverso da quello in cui sono nati, e scrivendo in una lingua diversa da quella dell'infanzia, si pongono come punti di raccordo, e d'incontro, tra realtà culturali diverse ed eterogenee: il migrante vive in equilibrio tra i mondi, tra il paese di partenza e quello di arrivo, e li modifica e arricchisce entrambi, sia culturalmente che linguisticamente.

In secondo luogo, perché i migranti che hanno abbandonato la ex-Jugoslavia in fiamme non hanno operato una scelta, per quanto dolorosa o sofferta: hanno agito per necessità, fuggendo da un paese in cui non potevano più essere davvero se stessi, e in cui la loro identità, e la loro vita, non potevano più essere difese.

Per le migliaia di profughi dei Balcani, la migrazione ha assunto i caratteri di un esilio, perché la guerra li ha privati (oltre che del presente, del passato e della speranza per il futuro) di un paese a cui tornare, o verso cui, semplicemente, proiettare il desiderio del ritorno.

La scelta letteraria è diventata, per chi ha visto il proprio mondo e la propria identità culturale cancellati con violenza, una scelta di dissidenza, e quindi di resistenza.

Gli scrittori della diaspora balcanica sono il monito più forte contro chi, ancora oggi, difende particolarismi ed erige barriere, e la dimostrazione più convincente del potere salvifico della letteratura; che attraverso le opere di questi autori, offre a tutta l'Europa un'insperata possibilità.

Tentare di comprendere le vicende di questo brandello del nostro continente, ascoltare le voci di chi è giunto sulle nostre terre per testimoniare la Storia, significa riscoprire un nuovo modo di intendere l'Europa, e la cultura europea; significa aprirci alla consapevolezza che, come sostiene Paolo Rumiz, la regione balcanica non sia solo il ventre molle del nostro continente, o la sua polveriera; piuttosto, lo "specchio perfetto delle nostre divisioni, e al tempo stesso l'ultima isola della nostra complessità perduta".


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