L'opposizione clandestina cecena, divisa tra nazionalismo e fondamentalismo islamico, annuncia la creazione di un emirato caucasico, mentre Kadyrov prosegue la propria marcia sotto l'egida del Cremlino

02/01/2008 -  Anonymous User

Di Ivan Suchov, per Vremja Novostej, 29.11.2007
Traduzione per Osservatorio Balcani: Irene Dioli

Il ministro degli Interni russo Rashid Nurgaliev ha annunciato che nella regione cecena di Shatojsk le forze dell'ordine locali hanno eliminato un mercenario straniero «collegato ad un'organizzazione terroristica internazionale». Il nome del combattente, a dire il vero, non è stato reso noto. In un modo o nell'altro, era da molto tempo che un alto funzionario russo non ricordava la minaccia dell'«internazionale islamica».

Rimane da chiarire esattamente chi siano, con chi e per cosa combattano questi irriducibili nemici della Russia. Come già riportato da Vremja Novostej, a fine ottobre il cosiddetto presidente dell'Ichkeria (denominazione separatista della Cecenia) Doku Umarov aveva annunciato la creazione di un emirato caucasico e dichiarato fuorilegge tutti i confini con cui «gli infedeli dividono i musulmani». Obiettivi dichiarati: l'instaurazione della sharia nel Caucaso e la riconquista di tutte «le terre storiche musulmane», mentre il nemico non è solo la Russia, ma tutti gli Stati che combattono i musulmani in Afghanistan, Irak, Somalia e Palestina.

E fu così che il leader della resistenza armata cecena solidarizzò con la «jihad globale», privandosi delle ultime simpatie nel mondo occidentale. Negli ultimi anni, il rappresentante dei separatisti in Europa Ahmed Zakaev si è sforzato non poco di conservare le simpatie dell'Occidente per la «battaglia per l'indipendenza cecena», simpatie regolarmente compromesse dagli stessi combattenti grazie ad imprese quali i sequestri del teatro di Mosca e della scuola 1 di Beslan. Non stupisce quindi che Zakaev abbia immediatamente minacciato Umarov di impeachment.

In sostanza, la frattura si è verificata all'interno di una formazione quasi virtuale. La guerra clandestina nella stessa Cecenia, dichiarata da Umarov, e il «governo separatista in esilio», i cui ministri albergano in ricche città europee, non hanno niente a che vedere con il reale governo della repubblica, da tempo nelle mani del presidente Kadyrov, padrone delle forze armate e delle simpatie del presidente Putin, nonché di una certa popolarità fra i propri compatrioti.

Alla forza di Kadyrov si associa anche una certa generosità: le bombe hanno smesso di piovere, la polizia federale ricostruisce invece di distruggere, e la Cecenia gode di un'autonomia che non trova paragoni nelle regioni del Caucaso settentrionale. Kadyrov si presenta come leader nazionale e protettore dei costumi ceceni. Attorno a lui si raccolgono molti fra coloro che solo pochi anni fa combattevano l'esercito federale per la libertà dell'"Ickeria".
A questo punto è chiaro che tutti gli slogan nazional-separatistici del «governi in esilio» si possono tranquillamente realizzare sotto l'egida della Russia. Kadyrov invita alla collaborazione persino i secessionisti emigranti, purché, si capisce, puri di fronte alla legge russa.

Kadyrov cerca anche di dare delle risposte a chi combatte per la fede e l'instaurazione della sharia. Nel centro di Groznij, dove una volta c'era il Soviet della Repubblica, poi trasformatosi in palazzo presidenziale ed infine in rovine, si sta ultimando la costruzione di un'immensa moschea, a simboleggiare che niente in Cecenia ostacola «il richiamo all'Islam». Il giovane presidente della Cecenia non perde occasione per sottolineare la propria trepidante osservanza dei principi islamici, combattendo (almeno pubblicamente) alcool, fumo e gioco d'azzardo ed incoraggiando l'educazione islamica nelle scuole. In autunno, è stato l'unico russo a prendere parte, insieme al sovrano dell'Arabia Saudita, all'abluzione rituale alla Kaaba, cerimonia riservata al fior fiore della comunità musulmana internazionale.

Inoltre, Kadyrov si propone di rigenerare in Cecenia il tradizionale Islam sufi. A Groznij e dintorni di fondamentalisti ne sono rimasti relativamente pochi, vista l'abitudine di definirli «satana» e perseguitarli.

Ma ora i due rami dell'opposizione - nazionalisti e fondamentalisti islamici - sono tornati alla ribalta. Zakaev, testimonial dell'opposizione a Londra, ha praticamente compiuto un "colpo di Stato", per quanto ciò sia possibile quando un governo si trova per metà in esilio e per metà in clandestinità. Quaranta deputati del parlamento dell'Ickeria (eletto nel periodo di indipendenza che ha seguito la prima guerra, nel 1997) hanno delegato a Zakaev i pieni poteri di premier, poiché Umarov non è nelle condizioni di far fronte ai propri impegni. Dal punto di vista della Costituzione separatista del 1992, cui fanno riferimento i sostenitori di Zakaev, il presidente può essere eletto solo tramite votazione popolare. Per questo, evidentemente, il rappresentante londinese è potuto diventare solo premier, appoggiandosi, come da tradizione europea, alla maggioranza parlamentare.

Il Cremlino aveva già provato nel 2002 a mettere in impeachment Aslan Maschadov, per arrivare ad un referendum costituzionale e all'elezione di un presidente fedele alla Russia. Parte dei deputati si era davvero raccolta nel villaggio di Znamensk, ma la votazione non era stata riconosciuta dai deputati rimasti all'opposizione. Quelli che ora hanno praticamente dichiarato l'impeachment del successore di Maschadov, Umarov.

Il fatto è che nella Cecenia separatista le cariche di premier e presidente si sono spesso confuse: dopo la vittoria alle elezioni del 1997, Maschadov stesso divenne capo del governo. Alla scadenza del suo mandato c'era già la guerra, e i suoi poteri vennero prolungati fino al termine del conflitto. Quando fu assassinato nel 2005, la Cecenia aveva già una nuova Costituzione filo-russa, e un presidente altrettanto filo-russo: con tutta la buona volontà, i separatisti non potevano convocare nuove elezioni. Ma per la nomina di un nuovo presidente non servivano i voti parlamentari: lo divenne il giovane Sadullaev, rapidamente liquidato dopo Maschadov, e poi Umarov, uno dei comandanti più esperti.
Zakaev promette di formare il nuovo governo entro la prima settimana di dicembre. Per ora, si sa solo che non ne farà parte Udugov, ideologo degli islamisti ed ex ministro dell'Informazione. Lo stesso Umarov ha dichiarato l'intenzione di processare Zakaev e indagare sulla partecipazione di alcuni «rappresentanti oltre confine» all'eliminazione di Maschadov e Sadullaev.

Dopo una lunga pausa, i sostenitori di Umarov hanno pubblicato su Internet un suo appello ai fedeli del Caucaso relativo alla creazione dell'emirato, e contemporaneamente un illuminante articolo del leader degli islamisti Astemirov, da cui emerge un cambio di obiettivo del fondamentalismo clandestino in Caucaso, sconfitto sul fronte dell'indipendenza cecena. Astemirov e Umarov hanno proclamato l'intero Caucaso settentrionale «territorio di guerra» e sono pronti a combattere finché non diverrà «territorio di pace», ovvero finché non verrà instaurata la sharia.

Questo mette in difficoltà gli ideologi dell'Islam tradizionale, ricordando loro che «il sistema di governo è parte integrante della religione, e rifiutare una qualsiasi parte della religione significa rifiutare tutto l'Islam». Per non parlare della dichiarazione sui metodi di evangelizzazione: «Se si potesse affermare la religione di Allah senza le armi, il Profeta non avrebbe partecipato a 27 battaglie». Nel cammino della jihad, sostengono Astemirov e Umarov, è arrivato il momento di lasciar perdere le imitazioni della democrazia ed agire secondo i principi della sharia.

L'idea del rifiuto della democrazia, evidentemente, ha condotto i sostenitori di Zakaev a considerare le iniziative di Umarov una parte del gioco dei servizi segreti russi, pronti a sfruttare i futuri umori fondamentalistici per rafforzare le misure repressive. Gli stessi emigranti continuano a puntare sul separatismo etnico, contando sul sostegno della società occidentale. Nemmeno a loro è estranea l'idea di estendere il movimento a tutto il Caucaso: ad esempio, si è svolto a Washington il meeting della fondazione Jamestown sul tema «Il futuro dell'Inguscezia», con Bachagaev, ex rappresentante dell'Ickeria in Russia, nelle vesti di relatore principale. Non è escluso che i due rami della «resistenza caucasica» si siano attivati alla vigilia delle elezioni presidenziali russe: non è un segreto che il regime di Kadyrov dipenda pesantemente dalle personali simpatie di Putin. Un cambio di governo avrebbe alterato anche l'equilibrio di forze in Cecenia, e di conseguenza in tutto il territorio caucasico.


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