L'Unione di Serbia e Montenegro è allo stesso tempo il Paese europeo che ospita e dal quale parte il maggior numero di rifugiati. La situazione è resa più complicata anche per la presenza di sfollati interni e per le tensioni che si registrano in Kossovo, dove pochi sono stati i serbi disposti a ritornare.

09/09/2004 -  Barbara Sartori

Fonte principale delle informazioni il sito di US Committee for Refugees, che ha recentemente pubblicato un rapporto sulla situazione di rifugiati, sfollati e richiedenti asilo nei diversi Paesi del mondo.

Alla fine dell'anno 2002, l'Unione di Serbia e Montenegro ospitava 353.000 rifugiati, la maggior parte di etnia serba e provenienti dalla Croazia (228.000) e dalla Bosnia (121.000).
Nonostante tale numero fosse il 12% in meno rispetto all'anno precedente, l'USM ha continuato ad essere il Paese in Europa con il maggior numero di rifugiati. Tale diminuzione non è tuttavia dovuta ad una politica d'integrazione locale, ma è la conseguenza del ritorno dei rifugiati alle propri Stati d'origine e/o del loro trasferimento dall'Unione di Serbia e Montenegro a Paesi terzi (nel 2002 sono state trasferite 860 persone).

I rifugiati provenienti dalla Crazia sono arrivati in Serbia nel 1995 quando l'esercito croato mise in atto l'operazione Tempesta nella regione croata delle Krajne, abitata soprattutto da serbi. Molti di questi non sono mai rientrati. Spesso sono incapaci di reclamare le proprie case occupate da membri della comunità croata e davanti ai tanti ostacoli da affrontare per ritornare in Croazia preferiscono rimanere in Serbia.
Durante l'anno 2002 l'UNHCR ha aiutato 1.500 persone (serbi di Croazia) a ritornare in Croazia. L' 80% in meno rispetto l'anno precedente, ma questo solo perché circa 9.000 hanno fatto ritorno volontariamente.

I rifugiati provenienti dalla Bosnia appartengono per lo più alla comunità serba. Risulta difficile stimare i loro ritorni, dato il regime di confine liberale tra l'Unione di Serbia e Montenegro e l'entità serba bosniaca, la Repubblica Srpska. L'UNHCR ha comunque rilevato un totale di 15.000 rimpatri durante tutto l'anno 2002. La maggior parte dei ritorni in Bosnia sono diretti verso la Federazione, dove i serbo-bosniaci rappresentano una minoranza.

Nel 2002 sono stati fatti degli sforzi per incoraggiare i rimpatri. Tuttavia non sempre sono stati ottenuti i risultati sperati. È il caso della KFOR (forze di protezione della NATO presenti in Kossovo), che dal 1999 ha protetto le enclavi serbe in Kossovo. Nel tentativo di normalizzare la situazione e comunque con l'esigenza di diminuire le truppe impiegate si è mossa dalle postazioni fisse. Il risultato è stato che i membri della comunità serba, maggiormente vulnerabile,
hanno visto allontanarsi ulteriormente l'eventualità di un loro ritorno, temendo per la propria sicurezza. Ma la mancanza di quest'ultima è soprattutto legata all'incapacità della comunità internazionale di avviare percorsi di riconciliazione tra le comunità che abitano la Provincia.

Altre iniziative sono venute dall'ufficio per i ritorni e le comunità dell'UNMIK (ORC), che ha lanciato la "Task Force on Returns" per coordinare gli sforzi delle varie agenzie (puntando sul sostegno da dare ai ritorni spontanei) e dallo stesso governo serbo che ha elaborato una strategia per indirizzare sia i rimpatri che l'integrazione.

Il problema degli sfollati interni non è invece secondario in importanza e serietà rispetto a quello dei rifugiati. Il 2002 si è infatti chiuso con 253.000 tra serbi del Kossovo ed altri non-albanesi kossovari ancora dislocati all'interno di Serbia e Montenegro. La maggior parte di loro avevano abbandonato il Kossovo nel 1999, quando vi fu un ritorno in massa della comunità albanese dopo alcuni mesi passati da rifugiati in Albania e Macedonia.
A tale cifra vanno aggiunti 54.000 sfollati interni dislocati all'interno del Kossovo, di cui l'UNHCR considerava almeno 22.500 in una situazione di pericolo (soprattutto membri della comunità serba e RAE - Rom, Ashkali e Egiziani -, ma anche Gorani ed albanesi del Kossovo in aree dove costituivano una minoranza).
Inoltre nel 2002 rimanevano ancora 5.000 albanesi della Serbia dislocati in Kossovo dal 2001, anno in cui vi fu il conflitto tra comunità albanese e polizia serba, che portò 15.000 albanesi della Serbia a rifugiarsi in Kossovo.

I kossovari appartenenti alla comunità serba insieme ai kossovari non appartenenti né a questa comunità né a quella albanese hanno naturlamente incontrato maggiori difficoltà nel tornare alle proprie abitazioni in Kossovo rispetto ai membri della comunità albanese. L'UNHCR considera comunque bisognosi di protezione quei kossovari albanesi che tornano in zone dove rappresentano una minoranza. Mitrovica rimane per questi ancora una zona molto insicura.
Il 2002 ha visto il ritorno 8.000 membri della comunità albanese (soprattutto dalla Germania). Di questi 2.000 sono tornati in maniera volontaria. Alla fine dell'anno, 2.500 rimanevano ancora in rifugi collettivi all'interno del Kossovo.

Alla fine del 2002 vivevano ancora in rifugi collettivi in Kossovo 800 membri della comunità serba e 650 Rom. Le condizioni di vita in tali centri sono alquanto povere: inadeguate strutture sanitarie, nessuna separazione tra le scuole, ecc.

Il numero dei ritorni dei serbi del Kossovo e dei non serbi e non albanesi kossovari alle loro case rimane esiguo. Fino ad ora hanno fatto ritorno alle proprie case meno di 10.000 persone delle 230.000 che erano fuggite dal Kossovo nel giugno del 1999 (HRW, giugno 2004). Funziona da deterrente la forte tensione etnica che spesso si traduce in atti di violenza nei confronti dei Kossovari non appartenenti alla comunità albanese. Basti pensare agli ultimi avvenimenti (marzo 2004). Tre giorni di violenza che hanno portato alla morte di 19 persone e al ferimento di altre 954. Tutta questa violenza rimane spesso impunita.

Ne consegue la preoccupazione dell'UNHCR, che considera tutt'oggi bisognosi di protezione internazionale i richiedenti asilo appartenenti a gruppi minoritari in Kossovo, specialmente i serbi, i Rom, gli ashkali, gli egiziani ed alcuni membri della comunità albanese in Kossovo.
A questo va ad aggiungersi la precaria situazione economica del Kossovo. L'alto tasso di disoccupazione va maggiormente a discapito dei gruppi più vulnerabili.

Alla fine del 2002 rimanevano dislocati in Serbia e Montenegro ancora 160.000 serbi del Kossovo. Durante tale anno solo 3.500 kossovari della comunità serba hanno fatto ritorno alle proprie abitazioni.
L'anno si è anche chiuso con ancora 7.500 non serbi e non albanesi del Kossovo (RAE, Gorani, mussulmani e turchi) dislocati in Serbia e Montenegro. Di questi i RAE sono il "gruppo" maggiormente vulnerabile: occupano i ranghi più bassi della scala socio-economica e sono spesso oggetto di violenza in Serbia.

Rifugiati e sfollati interni sono tra i gruppi più vulnerabili del Paese, che incontrano diverse difficoltà, prima tra tutte quella di ottenere i documenti o la registrazione della loro residenza. Manca perfino una determinazione nazionale dello status di rifugiato: i richiedenti asilo devono rivolgersi all'ufficio di Belgrado dell'UNHCR.
Si può comprendere come la situazione dei rifugiati e degli sfollati interni sia ancora un problema aperto, tanto più che l'Unione di Serbia e Montenegro nel 2002 è stata il Paese europeo da cui sono partiti in cerca d'asilo il maggior numero di persone.
Molto dipenderà dal processo di democratizzazione del Kossovo, in questo momento ancora allo stato embrionale.

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