Sono passati ormai quasi 10 anni da quando centinaia di migliaia di serbi della Croazia furono espulsi dallo Stato. La situazione ora è molto diversa. Tuttavia i membri della comunità serba, ancora rifugiati all'estero, incontrano molti ostacoli nel ritorno alle proprie case, prima di tutto la persistente ostilità di parte della comunità croata. Come affronta quindi il governo croato tale problematica? E quali tutele predispone per i rifugiati o per i richiedenti asilo in Croazia?

09/09/2004 -  Barbara Sartori

Cartina della Croazia

Fonte principale delle informazioni il sito di US Committee for Refugees, che ha recentemente pubblicato un rapporto sulla situazione di rifugiati, sfollati e richiedenti asilo nei diversi Paesi del mondo.

Alla fine del 2002 la "situazione rifugiati" in Croazia era la seguente: 251.000 rifugiati croati in altri Stati, la maggior parte dei quali in Yugoslavia ( circa 228.000); 17.100 sfollati interni (nel 2001 erano 23.400); 8.100 rifugiati in Croazia, la maggior parte provenienti dalla Bosnia e con una protezione temporanea (nel 2001 i rifugiati in Croazia erano ben 21.900).
Durante lo stesso anno, sono stati 990 i croati che hanno richiesto asilo in altri Stati.

La Croazia è parte della Convenzione sui rifugiati delle Nazioni Unite e sta partecipando ad un progetto per introdurre un programma sull'asilo che sia conforme agli standard dell'Unione Europea.
Il governo croato ha inoltre elaborato un progetto di legge sull'asilo. Tuttavia in attesa che tale legge venga adottata, il trattamento dei richiedenti asilo e dei rifugiati è regolato dalla legge sugli stranieri.

Durante il 2002 il governo croato si è espresso riguardo a 108 richieste d'asilo, di queste 18 erano state presentate l'anno precedente. L'asilo è stato rifiutato per 108 volte.
Inoltre l'Alto Commissariato per i Rifugiati ha riportato che le procedure sull'asilo sono profondamente inadeguate: la polizia di confine non ha ben chiare le procedure d'asilo; il governo croato detiene i richiedenti asilo e non garantisce un ambiente adeguato per le loro interviste; mancano le informazioni sui Paesi di provenienza per i funzionari assegnati alla valutazione delle domande d'asilo e il processo d'appello è complesso.

Durante il 2002 più della metà dei rifugiati provenienti dalla Bosnia (nel 2001 erano 18.600) hanno lasciato la Croazia per far ritorno alla propria patria o, in alcuni casi, per essere trasferiti in altri Stati. Quelli rimasti in Croazia sono: 4.500 croati bosniaci, 2.600 musulmani bosniaci e circa 300 persone di altre comunità etniche. A questi vanno aggiunte 700 persone provenienti dalla Yugoslavia, soprattutto dalla comunità croata, a cui è garantita una protezione temporanea.
Inoltre, durante il 2002, 6.600 sfollati interni hanno fatto ritorno ai loro posti d'origine ed 11.000 serbi della Croazia rifugiati all'estero hanno partecipato ai ritorni organizzati dalla Yugoslavia e dalla Bosnia.

Il ritorno dei rifugiati serbo-croati in Croazia è però tutt'oggi ricco di difficoltà.

Secondo l'OSCE (l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa), nonostante sia aumentato il livello generale di sicurezza in Croazia, il ritorno della comunità serba all'estero è ancora visto con sospetto dalle comunità locali. I serbi croati sono oggetto di vessazioni e di discriminazione.
Inoltre secondo un sondaggio pubblico svolto durante il 2002, il 25% degli adulti della comunità croata affermano di voler espellere tutti i serbi dalla Croazia. Questa percentuale aumenta nelle aree che sono state duramente colpite dalla guerra, come la Dalmazia e la Slavonia.

Il governo croato ha preso delle decisioni per favorire il ritorno dei rifugiati, ma ha agito per lo più sotto la pressione della comunità internazionale e stando ben attento di non contrariare le pretese dei nazionalisti.

Oltre l'ostilità della comunità croata, altre difficoltà scoraggiano il ritorno dei rifugiati serbo-croati: la difficoltà di vedersi riconosciuta la cittadinanza croata (i "non croati" devono poter dimostrare di aver risieduto per 5 anni in Croazia, mentre i membri della comunità croata la possono ottenere solo affermando di essere cittadini croati); la paura per gli anziani ed i disabili di perdere la loro pensione o la loro assicurazione per la disabilità, a causa dell'ineguale applicazione della legge di "convalida" del 1997; la paura di essere arbitrariamente arrestato e accusato di crimini di guerra per quei membri della comunità serba che durante la guerra erano in età militare (il trattamento nei confronti dei membri della comunità croata in questo caso è generalmente più indulgente); la paura delle mine inesplose che ricoprono più di 6.000 chilometri quadrati dei 56.538 della superficie croata; infine l'alto tasso di disoccupazione, soprattutto nelle aree toccate dalla guerra.

Un altro problema che devono affrontare i membri della comunità serba nel ritornare in Croazia riguarda il recupero delle loro proprietà.
Una legge del governo croato prevede che i legittimi proprietari non possano rientrare in possesso dei propri possedimenti fino a che coloro che gli stanno provvisoriamente occupando non hanno un'abitazione alternativa. Secondo l'International Crisis Group questa legge, che a quanto pare non è applicata ai croati che vogliono fare ritorno alle precedenti proprietà, viola non solo la Costituzione croata ma anche le norme internazionali poiché dà precedenza agli "occupanti" provvisori invece che ai legittimi proprietari.
Inoltre, spesso coloro che fanno ritorno alle proprie case, se vogliono riavere la connessione all'elettricità, devono pagare le bollette accumulate da chi le ha occupate in loro assenza.
Di positivo, nelle tante difficoltà incontrate dai serbi nel recupero delle loro proprietà, vi è che, nel 2002, il governo croato ha finalmente iniziato ad assistere coloro che hanno subito la distruzione delle proprietà a causa di atti terroristici o per mano dell'esercito croato.

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