L'Angelo di Srebrenica

L'Angelo di Srebrenica

Inizia oggi la quinta edizione della Settimana Internazionale della Memoria, organizzata dalla Fondazione Alexander Langer e dall'associazione Adopt Srebrenica a Tuzla, Srebrenica e Belgrado. Per questa occasione abbiamo incontrato Ado Hasanović, giovane regista bosniaco autore del cortometraggio “Andjeo Srebrenice” e direttore artistico del festival che si terrà in concomitanza con la Settimana della Memoria

02/09/2011 -  Mauro Cereghini

Le immagini della guerra si colgono ancora sulle strade, sulle piazze, sui muri di Srebrenica. Eppure non è su di loro che concentra lo sguardo il regista, nei cinque minuti e mezzo del cortometraggio “Andjeo Srebrenice” - “L'angelo di Srebrenica”. E' piuttosto sulla figura che agile vi danza attorno, sospesa dentro uno spazio irreale in equilibrio tra tetti e cornicioni. La grazia della ballerina sulle punte in mezzo ai cocci e ai detriti delle distruzioni. La musica nel silenzio delle ferite umane. E poi l'arrivo a Potočari, il grande cimitero per le vittime del genocidio. Lì l'angelo-ballerina si ferma, tra lo stupore e l'orrore. L'incantesimo si spezza, e il dolore la prende fino a farla accasciare. Chiudendo gli occhi, fisserà come ultima immagine la tomba di Adnan. Aveva 14 anni, Adnan, l'11 luglio 1995. L'innocenza sua, come la nostra che guardiamo, è finita quel giorno. “L'angelo di Srebrenica” è un cortometraggio girato nel 2010 dal giovane regista bosniaco Ado Hasanović. Abbiamo scambiato qualche battuta con lui, pochi giorni dopo la proiezione della sua opera al Sarajevo Film Festival.

Finora Srebrenica è stata il centro dei tuoi lavori video...

Sì, il documentario “Ja sam iz Srebrenice” (“Io sono di Srebrenica”), del 2007, mi ha portato il premio come migliore opera di studente al Mostar Film Festival, mentre col corto “L'angelo di Srebrenica”, dell'anno scorso, mi sono garantito l'ammissione alla Sarajevo Film Academy. Qui ho realizzato, come lavoro del primo anno, “Ljepotica i zvijer” (“La bella e la bestia”), anche questo appena proiettato al Sarajevo Film Festival.

Parliamo de “L'angelo di Srebrenica”. Lo si può intendere come un messaggio di accusa – contro il genocidio, contro la comunità internazionale – ma anche come una preghiera per le vittime e la loro memoria. Quale aspetto volevi si cogliesse di più?

Il messaggio del mio film è che nessuna vittima è giustificabile, in nessuna parte del mondo. Il lavoro è frutto di un rapporto emozionale tra me e la mia città natale, Srebrenica, che è stata colpita dal genocidio del 1995. Con questo messaggio ho voluto contribuire al rilancio e allo sviluppo di Srebrenica, come città al passo con il mondo. Per i temi che affronta, andrebbe mostrato in tutta Europa e nel resto del mondo.

La componente tecnica del video – con le immagini in sovraimpressione – è importante e immagino abbia richiesto un certo investimento finanziario. Come hai potuto produrlo?

 

Il film ha avuto diversi supporti, tecnici e finanziari. Per la parte di realizzazione in studio, con le immagini su sfondo verde, ho potuto contare sull'intervento di Berin Tuzlić, direttore artistico dell'agenzia Via Media, e sulla Fondazione tedesca “Schüler Helfen Leben”. Per la post-produzione ho avuto il sostegno dell'associazione “Amici di Srebrenica”, del Consiglio giovanile di Srebrenica e della Municipalità.

L'angelo può essere visto come un simbolo religioso, che si muove tra i segni di fede del cimitero di Potočari. Oppure può essere inteso come un simbolo generico della vita dopo la morte. Qual è il tuo punto di vista?

Gli angeli sono esseri spirituali indicati spesso come messaggeri di Dio. La mia proiezione dell'angelo è la ballerina, che nel film rappresenta tutte le persone innocenti che hanno vissuto e tuttora vivono a Srebrenica. L'angelo rappresenta Srebrenica stessa, la sua purezza, la sua bellezza e insieme la sua sofferenza, con cui ci confrontiamo quotidianamente.

La memoria ed il passato sono temi difficili di cui parlare, non solo nei Balcani. Dove il film è stato proiettato, quali reazioni hai colto nel pubblico?

La maggior parte delle proiezioni si è svolta finora in Italia, e io ho assistito a quelle di Torino, Roma, Venezia, Bolzano e Merano, le ultime tre grazie ad un invito della Fondazione Alexander Langer. Al termine della proiezione, la sala si riempie in genere di silenzio e di respiri profondi, cosa che mi rende felice perché attraverso la danza e la musica il pubblico sperimenta l'emozione che volevo trasmettere col mio lavoro. La prima mondiale del film è stata il 25 giugno al Colorado Film Festival, ma quella per me più importante è stata la prima bosniaca al Sarajevo Film Festival, il 28 luglio. Si è trattato di un'esperienza fantastica, e poi noi studenti dell'Academy abbiamo anche potuto incontrare e confrontarci con Wim Wenders.

Dopo questo lavoro sulla memoria di Srebrenica, a quali opere stai pensando?

I miei progetti futuri vedranno delle sperimentazioni con nuove tecniche di ripresa, e saranno uno sforzo per mostrare la mia città in una luce positiva. Inoltre sono impegnato come direttore artistico della quinta edizione di “Srebrena traka”, festival di cortometraggi che si terrà lì dall'8 al 10 settembre.


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