Peja-Pec, Kosovo. Foto di Stefania Melucci

Uno sguardo sul Kosovo, che parte dall'alto, dal finestrino di un aereo, per poi scendere sino ad una realtà che vive ancora fortemente le conseguenze della guerra. Un reportage, riceviamo e volentieri pubblichiamo

22/03/2010 -  Stefania Melucci

Una macchia marrone, costellata da rivoli d’acqua e intervallata da piccole vette. Il paesaggio, visto dall’alto prima di atterrare all’aeroporto militare di Dakovica, è così intenso da togliere il fiato: le creste bianche, con la loro imponenza, alternano i colori scuri del panorama, tra cielo e terra.

Benvenuti in Kosovo, lo stato più recente del mondo, che ha festeggiato il secondo anno di indipendenza il 17 febbraio. Una natura da incorniciare, che mostra però le crepe nei particolari, quando lo sguardo mette a fuoco gli scorci devastati dall’inquinamento e dall’incuria.

Nella splendida valle Rugova, zona occidentale del paese, lungo la strada dissestata che si arrampica sulle vette, sono i rifiuti i veri protagonisti. Abbandonati da tempo, sono massi incastonati sulle sponde dei fiumi, capaci di catturare anche lo sguardo dell’osservatore più distratto.

La tutela ambientale non è la priorità di un paese che prova a risollevarsi dalla guerra lasciata alle spalle. Il 1999 sembra lontano, ma i segni sono ancora visibili sul territorio. Lungo le strade polverose e poco trafficate spuntano le tante case grezze, consegnate ai returnees. E poi cimiteri, serbi e albanesi, con file di tombe sparpagliate in maniera confusa, dove non mancano avanzi di cibo, probabilmente utilizzati per condividere la quotidianità con chi non c’è più.

“New Born” è la scritta a caratteri cubitali di colore giallo posizionata nella piazza centrale di Pristina, un’opera imponente, simbolo dell’indipendenza. Ovunque spiccano le bandiere del nuovo stato, che ricordano i colori dell’Europa, accompagnate dal vessillo albanese con l’aquila bicefala.

Se i kosovari si sentono giovani europei, gli indicatori di ricchezza fanno di questo paese uno dei più poveri del vecchio continente: secondo le stime della Banca Mondiale il 45% della popolazione vive con meno di 1,43 euro al giorno, e di questi il 15% ha a disposizione solo novantatre centesimi per soddisfare le necessità quotidiane, inoltre il 42% della popolazione non ha un lavoro e la fascia più colpita è quella degli under24. In sintesi: la povertà coinvolge maggiormente le zone rurali.

Uno stato appena nato, costretto a fronteggiare la mancanza di infrastrutture, l’emergenza occupazionale e la presenza costante di traffici illeciti e corruzione. Il quadro è complesso dal punto di vista economico, ma il dialogo interetnico tra maggioranza albanese e minoranza serba, almeno nella parte occidentale del paese, funziona senza troppe frizioni. Una situazione stabile ma fragile, come sottolineato dai report internazionali.

Il quadro kosovaro però si complica a nord, a Mitrovica, dove i rapporti tra i due gruppi etnici sono più tesi. È compito delle forze internazionali della Kfor, la missione Nato, vigilare sul territorio e garantire la libertà di spostamento di tutti gli abitanti del Kosovo. «In questi ultimi dieci anni – ha spiegato il colonnello Vincenzo Grasso, comandante del Multinational Battle Group, operante nella zona occidentale del paese - la comunità internazionale ha assistito a un cambiamento evidente, soprattutto per quanto riguarda la sicurezza. La polizia locale ha fatto passi da gigante. Adesso bisogna far ripartire l’economia, solo così il Paese può guardare al futuro».

Uno stato attaccato agli aiuti internazionali e alle rimesse dei tanti che vivono all’estero. Il Kosovo prova a ripartire, ma mostra tutte le crepe nell’insufficienza di infrastrutture. Con gli aiuti del Cimic, la cooperazione civile e militare che collabora con le autorità locali, un pezzetto d’Italia prova a ridare speranza. Nonostante il taglio dei fondi, passati da 950mila euro nel 2009 a circa 543mila nel 2010, ci sono progetti per l’istruzione e per la sanità, per l’attività sportiva e per le infrastrutture.

E così, a Jasanica/Josanica, nella municipalità di Klina, c’è una squadra di operai kosovari che lavora sotto l’occhio vigile del capitano Michele Gortan, architetto friulano prestato all’esercito italiano per sei mesi come riserva selezionata. Severo e un po’ schivo, i suoi occhi diventano lucidi e la voce si incrina quando parla dei piccoli studenti, incontrati la prima volta solo quattro mesi fa. «Ci sono cose che ti restano nel cuore - ha affermato il libero professionista in mimetica, durante un sopralluogo – nelle città più grandi i bambini chiedono, fanno domande, nelle zone rurali non accade nulla di tutto questo. È la dignità della povertà».

Tre giorni per ottenere il via libera dalla municipalità e iniziare i lavori: la squadra ha iniziato a imbiancare muri e a costruire nuovi servizi igienici, in modo da chiudere definitivamente quelli vecchi e fatiscenti che gettavano i liquami in un fiume poco distante dal plesso scolastico. La collaborazione Italia-Kosovo funziona perché unisce le conoscenze tricolori con le specificità del posto: banditi i materiali d’importazione e linoleum, il capitano Gortan ha preferito utilizzare legno e pietra locali per mettere in moto un circolo virtuoso all’interno del paese. E poi, nel progetto di riqualificazione della loro scuola, sono scesi in campo anche alcuni dei 230 alunni: gli studenti delle prime tre classi, quelli che utilizzeranno la struttura più a lungo, hanno deciso i colori delle pareti e i disegni da applicare alle finestre. Una scelta del capitano per regalare un sorriso a chi non ha niente.

Puntare sulla formazione, ma anche ritrovare la religiosità nei luoghi sacri, come il Patriarcato di Pec/Peja o il monastero di Visoki Decani, avamposti serbi in territorio albanese, dove si prova a mandare avanti il dialogo interetnico. La spiritualità della Chiesa ortodossa è racchiusa nel monastero, sorvegliato giorno e notte dal contingente italiano. I monaci, alti da far invidia ai cestisti americani, vivono una dimensione senza tempo, in totale autosufficienza. Un laboratorio d’icone sacre, una fattoria con mucche e galline, una distilleria che porta ai turisti un ottimo vino della casa e la Rakja, la tipica grappa locale, capace di riscaldare i più freddolosi durante l’inverno kosovaro. Una vita di meditazione, con sveglie che suonano ogni mattina alle quattro, per mandare avanti le preghiere e l’attività collettiva. Partecipare al vespro dedicato al fondatore del monastero Santo Stefano fa cogliere al meglio la spiritualità del luogo sacro. L’odore inebriante dell’incenso, diffuso in un ambiente illuminato esclusivamente dalla luce fioca delle candele, rende l’atmosfera ancora più intima e profonda, mentre lo sguardo si perde tra gli ori e gli intarsi delle pareti. Guardare una candela e ritrovare la serenità, dimenticando per un attimo i contrasti dell’esterno.


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