Novi Sad. I giorni freddi

27/11/2012

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Il 22 novembre scorso la presentazione a Rovereto del libro "Novi Sad. I giorni freddi" con scritti di Danilo Kiš e Alexandar Tišma per i tipi di ADV, 2012. Mettiamo a disposizione dei nostri lettori l'intera conferenza

All'incontro "Novi Sad. I giorni freddi", promosso dal Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani in collaborazione con Osservatorio Balcani e Caucaso sono intervenuti nell'ordine:

Luisa Chiodi, direttrice Osservatorio Balcani e Caucaso

Fabrizio Rasera, presidente dell'Accademia Roveretana degli Agiati

Piero Del Giudice, giornalista

Dževad Karahasan, scrittore

Goran Levi, presidente della comunità ebraica di Novi Sad

Michele Nardelli, presidente del Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani

Modera:
Enrico Franco, direttore del Corriere del Trentino

 

Il libro si regge sulla narrazione di due testimoni d’eccezione. Sarebbero diventati i maggiori scrittori dei Balcani, comprimari dei grandi del Novecento europeo, Danilo Kiš e Alexamdar Tišma. Nel gennaio 1942 hanno 6 anni il primo e 17 il secondo: «Ero a Novi Sad durante la “razzia”. Tenevo, insieme a mio padre e mia madre, le mani in alto davanti ad una pattuglia di soldati ungheresi che ci urlavano in faccia di armi nascoste nella casa. Era il tempo della guerra, tempo dell’assurdo, dell’odio, della manipolazione» dice Tišma in una intervista della fine anni Novanta.

I “giorni del freddo” della capitale danubiana della Vojvodina, 21-24 gennaio 1942, si chiamano così perché il grande fiume è ghiacciato, ed è neve sulla città rivierasca. I rastrellati sono costretti in fila, in una sorta di corteo verso il Danubio. Ogni tanto, durante il percorso, i soldati spingono fuori dei gruppi e li fucilano. Il grosso viene spinto verso il fiume dove il genocidio si completa con fucilazioni sommarie e seppellimento dei corpi semivivi nelle acque.

Danilo Kiš scrive: «Accanto agli stabilimenti balneari della città, là dove ci sono le cabine di legno, c’è nel ghiaccio un grande buco, come se fosse ritagliato nella superficie di vetro: sopra il buco è gettato un trampolino. Attorno soldati: sui loro baffi si è depositata la brina, dalle loro narici esce vapore. Dalla direzione delle cabine spunta all’improvviso una giovane donna, nuda; tiene per mano una bambina. Anche la bambina è nuda. La loro pelle è di un rosso bluastro per il freddo. I soldati le spingono sul trampolino. Sparano loro in testa e le trafiggono con le baionette. Le vittime cadono nell’acqua del Danubio verde scura».

L’esercito ungherese occupa Novi Sad e la Vojvodina da poco meno di un anno. La Jugoslavia è stata invasa i primi giorni dell’aprile 1941 da Germania, Italia, Ungheria, Bulgaria. Nella spartizione del Prima Jugoslavia - il Regno Trino dei serbi, sloveni e croati - l’Ungheria vanta l’intera pianura del Danubio, inscritta, nel sogno-progetto della “Grande Ungheria”.

Ai primi moti partigiani polizia ed esercito ungherese rispondono con il genocidio. Fucilazioni, mutilazioni, deportazioni.

La strage del gennaio 1942 completa, nella capitale, decimazioni ed esecuzioni di massa in alcuni villaggi. A Novi Sad viene eliminata l’intera comunità ebraica, decimata la comunità serba, ma anche tzigani, ruteni, vengono indiscriminatamente rastrellati alla caccia degli oppositori politici e dei membri della prima resistenza.