E' una relazione creata fin dal 1999. E ancora ricca di progettualità. A Mostar la Cgil Caaf Nord-est sostiene la gestione di un asilo e promuove progetti in campo economico a favore dell'emancipazione femminile. Riceviamo e volentieri pubblichiamo

10/07/2007 -  Anonymous User

Foto e testo di Mauro Pigozzo

Il prossimo 24 luglio Mostar festeggerà il terzo anniversario dalla ricostruzione del suo simbolo, il Ponte Vecchio. Intanto le ferite dei proiettili sui muri e delle macerie lungo il Boulevard, una tra le vie principali, rimangono. Ciononostante la città guarda al futuro con grandi progettualità. Anche grazie all'attività svolta dalla Cgil Caaf Nord-est, che vi opera dal 1999 su due livelli fondamentali: la gestione di un asilo e l'emancipazione femminile.
L'asilo
Durante la guerra, i bambini giocavano nei container e si nascondevano negli scantinati. Il 31 marzo del 2000, è stato inaugurata la nuova sede - sorta ex novo dove prima si trovavano i container - di quello che è divenuto l'asilo "Renzo Donazzon", dedicato ad un sindacalista che ebbe il coraggio di visitare la Bosnia Erzegovina durante gli anni del conflitto.

Siamo nell'immediata periferia di Mostar, sulla strada che porta verso Sarajevo, nell'ex area comunale "nord". "In una dozzina di anni sono passati quasi un migliaio di bambini", spiega Miralem Gluhović, tra i fondatori della struttura.

È un asilo modello tra i dieci che esistono a Mostar: si sviluppa su 150 metri quadri, ha due sale soggiorno e il parco giochi esterno. L'integrazione è decisiva. Oggi lo frequentano 25 bimbi tra i due e i cinque anni, per i due terzi bosniaci-musulmani, gli altri sono bosniaci-serbi.

Le difficoltà delle nuove generazioni mostarine sono ricordate dalla direttrice dell'asilo, Mediha Brekalo. "Mancano i giochi. La disoccupazione è alta. L'educazione è un lusso, spesso i genitori non hanno i soldi per pagare le rette. Il rischio di aumentare il numero dei delinquenti è elevato".
La questione femminile
Il resto è il racconto di una città dove la disoccupazione è una malattia che indebolisce animo e corpo ad oltre la metà della popolazione. Problemi che affliggono in modo particolare le donne, che rappresentano circa il 60% dei 150.000 residenti.

La loro condizione è ancora buia. Si stima che solo il 10% di loro a Mostar abbia un lavoro. Per lo più si tratta di occupazioni minori, come quella di commessa, pagato in media 150 euro al mese. Pochi, pochissimi, considerato che un affitto costa circa 1500 euro l'anno e che sono ormai in pochi a possedere ancora la casa "socialista" dell'era Tito. La parità sul posto di lavoro è ancora utopica e chi ha figli di fatto si preclude la possibilità di lavorare.

Ma esistono anche raggi di speranza. Citiamo l'attività dell'associazione creata nel 2000 da Cgil Caaf Nordest, la "Zene za Europu" (Donne per l'Europa), un gruppo di cinque donne mostarine. Da anni coltivano la terra. Dispongono di 600 metri quadri di serre e di 2500 piante di ciliegie amarene su quattro ettari di terreno, avuti in gestione per 25 anni da una azienda vitivinicola messa in ginocchio dal periodo bellico a una dozzina di chilometri a sud est di Mostar. L'anno scorso furono sfortunate, una raffica di bora distrusse una serra e dunque il progetto è rallentato. "Ora vogliamo realizzare una cooperativa di donne. Per aiutarle nell'emancipazione economica e personale. Al momento riusciamo a stipendiarne tre stagionalmente, quando è tempo di raccolta. Non va male. Le ciliegie vengono pagate due euro al chilogrammo e possiamo lavorare anche grazie ad un trattore che ci è stato donato dallo Spi, il sindacato dei pensionati Cgil italiani", ci spiega Zelia Grubsic, la presidentessa dell'associazione.

L'altro nodo è quello dell'integrazione tra le donne di diverse etnie. In un paese dove anche il caffè divide - per i croati è il "kava", per i musulmani "kahva" e per i serbi "kafa" - ripartire dai problemi comuni femminili è già una mezza rivoluzione. "Stiamo anche gestendo delle riunioni a Trebinje con donne serbe, bosniache e croate. Per tutti i problemi sono gli stessi. Disoccupazione, violenze e isolamento. Le aiutiamo a capire che i problemi che abbiamo sono gli stessi. E che, proprio per questo, non ci sono differenze tra di noi".


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