La transizione costituzionale della Bosnia ed Erzegovina: dall'ordinamento imposto allo Stato multinazionale sostenibile? di Jens Woelk, Collana Dipartimento di Scienze Giuridiche, Università di Trento, Cedam, Padova, 2008

Il lavoro di Jens Woelk analizza il processo di transizione costituzionale della Bosnia ed Erzegovina come caso paradigmatico e esemplare, per la complessità delle sue vicende, nel più ampio contesto dell'area dei Balcani occidentali. La questione principale dalla quale muove la ricerca riguarda il ruolo del principio pluralista nella transizione costituzionale, soprattutto sotto i profili territoriale e socioculturale.

10/02/2009 -  Anonymous User

A tale scopo il lavoro verifica la tenuta e l'applicazione dei concetti fondamentali acquisiti della
Western legal tradition di fronte alla situazione peculiare dei Balcani occidentali, e della situazione di
ricostruzione postbellica della Bosnia ed Erzegovina in particolare. Infatti, il nucleo essenziale comune della forma di Stato costituzionale di diritto è diventato il principale standard di riferimento nel processo di transizione, anche in senso normativo, soprattutto in seguito all'apertura della prospettiva di una futura adesione all'Unione europea attraverso i principi di Copenaghen e la loro concretizzazione.
Tuttavia, nel volume l'autore si interroga anche sul fatto se nell'applicazione di questi standard evolutisi in un contesto diverso come quello dell'Europa centro-orientale si tenga sufficientemente conto di una realtà complessa e peculiare come quella dei Balcani occidentali e della Bosnia ed Erzegovina in particolare. L'azione di attori esterni diversi - varie organizzazioni internazionali, Stati, e sempre di più l'Unione europea - ha fortemente caratterizzato e condizionato i processi di transizione nell'intera area balcanica, ma anche sotto questo profilo, il caso bosniaco può essere considerato paradigmatico sia a causa della durata e dell'intensità dell'intervento sia per il significato costitutivo che esso ha per l'ordinamento imposto con l'Accordo di Pace di Dayton. Pertanto anche l'intervento esterno, indiretto e diretto, nell'ordinamento costituzionale dei nuovi Stati costituisce oggetto ulteriore di analisi.
Dalla prospettiva giuridica il fenomeno delle transizioni politico-costituzionali riguarda prevalentemente l'atto di rottura e di fondazione della legittimità del nuovo ordinamento; tuttavia, in
alcuni ordinamenti dell'area balcanica proprio la determinazione di tale momento non risulta facilmente individuabile nei processi di transizione relativamente lunghi e articolati in più fasi. Da questa osservazione prende spunto l'analisi del processo di transizione costituzionale nel caso bosniaco, per il quale l'autore distingue, a partire dall'Accordo di Dayton, tre fasi principali: ad una prima fase di attuazione dell'Accordo segue una fase "correttiva", caratterizzata dagli interventi della Corte costituzionale e dell'Alto Rappresentante della Comunità internazionale. Successivamente, è soprattutto l'obiettivo dell'integrazione europea a determinare il passaggio ad una maggiore responsabilità bosniaca e a richiedere l'aggiustamento dei delicati equilibri dell'ordinamento imposto.
Sotto il profilo metodologico, le conseguenze del riconoscimento giuridico del pluralismo sociale
e della sua disciplina non possono essere analizzate senza considerare le situazioni politica e di fatto nonché il dibattito dottrinario in altre discipline, quali quelle storiche, sociologiche e politologiche. Il lavoro ne fa ampiamente riferimento distinguendo tuttavia il piano giuridico-costituzionale dall'apporto necessario delle altre discipline e valorizza pertanto la sfera politica e pre-giuridica senza rinunciare agli strumenti di indagine ed alle categorie che appartengono al patrimonio metodologico del giurista. Così, vengono discussi nell'introduzione i principali concetti pre-giuridici utilizzati nella realtà e nella ricerca -"nazione", "etnia" e "società multietnica" - per comprendere i concetti giuridici basati su essi, in quanto espressione del riconoscimento normativo (nelle forme dell'ordinamento "multietnico" e "multinazionale"). In modo simile, si discutono le principali teorie del power sharing per focalizzare successivamente le loro conseguenze giuridiche in termini di istituzionalizzazione del fattore etnico.
Nel primo capitolo viene messo a fuoco, in chiave comparata, il concetto della transizione
costituzionale nella sua applicazione all'area balcanica dedicando particolare attenzione alla continuità storica di principi riguardanti la garanzia della diversità, ad esempio il principio federale, nonché alla distinzione fra fattori endogeni e esogeni della transizione. Nel secondo capitolo si esaminano le basi teoriche dei diversi approcci costituzionali, le teorie e gli strumenti del power sharing e della democrazia consociativa nonché dell'uso della dimensione territoriale, in particolare degli strumenti e degli istituti del federalismo, come elemento per la giuridicizzazione di conflitti.
Tali concetti e premesse sono ripresi nel terzo capitolo e illustrati nella loro concreta applicazione come prevista dall'Accordo di Dayton. L'analisi delle principali caratteristiche dell'ordinamento costituzionale imposto assieme all'Accordo di Pace focalizza soprattutto il peculiare sistema federale, e in particolare il rapporto fra "Stato" e "Entità" (le due unità costitutive), nonché le
diverse forme e garanzie dell'istituzionalizzazione del fattore etnico. Nella logica della stabilizzazione
post-conflittuale, l'interpretazione bosniaca del modello di democrazia consociativa ha portato ad un
sistema istituzionale estremamente complesso e spesso disfunzionale, soprattutto a causa delle tante possibilità di blocco per motivi etnici. A tale staticità si contrappone, tuttavia, come elemento dinamico l'obiettivo (politico) della ricostruzione della società multietnica da raggiungere attraverso il diritto al ritorno dei rifugiati e degli sfollati.
Nel quarto capitolo ("correzioni costituzionali") si esaminano i mutamenti necessari per la piena
attuazione dell'Accordo di Pace e per superare la contrapposizione fra l'elemento statico e quello
dinamico. Tuttavia, nonostante gli attori e gli strumenti utilizzati siano diversi - da una parte, l'istituzione garante della Costituzione, la Corte costituzionale, con sentenze "correttive", dall'altra, l'istituzione chiave per l'attuazione dell'Accordo, l'Alto Rappresentante della Comunità internazionale, investito di poteri sostitutivi straordinari di intervento diretto -, entrambi vanno oltre alla Costituzione in senso formale, riferendosi piuttosto come parametro delle loro "correzioni" alla Costituzione materiale (attraverso una lettura sistematica, "aperta" e teleologica dell'Accordo di Pace).
Le conseguenze di tali interventi sono analizzate nel quinto capitolo, con particolare riguardo al
rapporto fra i numerosi attori istituzionali, bosniaci e internazionali, cercando di risolvere le questioni del coordinamento fra di loro e delle loro responsabilità. Proprio quest'ultimo punto è al centro delle critiche nei confronti della Comunità internazionale a causa dei poteri incisivi di cui dispone, spesso non sottoposti a limiti e controlli sufficienti. Come breve bilancio intermedio, il capitolo si chiude con una riflessione sulla segregazione, territoriale e istituzionale, nel nome della stabilizzazione, sugli effetti delle "correzioni" costituzionali, sull'esclusione degli "altri" da un sistema istituzionale basato esclusivamente sull'equilibrio fra i tre gruppi principali.
Nel tentativo di analizzare i cambiamenti a tutti i livelli di governo, viene posta, nel sesto capitolo,
la domanda, se l'autogoverno locale possa fornire degli esempi positivi per il bilanciamento complessivo tra obiettivi, diritti e posizioni giuridiche contrastanti. In seguito ad un'analisi dei vari sistemi di governo locale, l'autore mette a confronto due casi con politiche e istituzioni diverse (Mostar e Brčko). Più recentemente, la prospettiva dell'integrazione europea è diventata l'obiettivo centrale dell'intero processo di transizione condizionandolo concretamente nella trasformazione di principi (come i criteri di Copenaghen) in parametri dettagliati e concreti, il rispetto dei quali viene sorvegliato attentamente dalle istituzioni comunitarie. L'autore dedica il settimo capitolo all'instaurazione di un dialogo tra le istituzioni degli Stati dei Balcani occidentali e quelle comunitarie ritenuto necessario per evitare che l'assorbimento dei nuovi principi si limiti alla mera adozione di numerosi provvedimenti e per garantire invece - per quanto possibile - la loro penetrazione e attuazione anche nella prassi. A differenza della fase precedente, che ha visto l'imposizione di tali principi e delle riforme dall'esterno, è pertanto richiesta l'autentica adesione e condivisione di tali principi da parte degli attori in loco, la c.d. local ownership; i contenuti e le conseguenze di tale concetto sono analizzati nell'ottavo capitolo. Il passaggio da un ordinamento imposto ad uno generalmente accettato e condiviso è considerato, soprattutto per la Bosnia ed Erzegovina, il vero momento definitorio del processo di transizione (da coronare da un atto formale, come una nuova Costituzione oppure modifiche a quella di Dayton legittimate dalla popolazione).
Nel nono ed ultimo capitolo, l'autore cerca di dare un bilancio dei percorsi di transizione "guidata" della Bosnia ed Erzegovina. Le questioni principali riguardano la sostenibilità e la legittimazione di ogni cambiamento endogeno nonché il paradosso della richiesta (internazionale ed europea) all'ordinamento multinazionale bosniaco di diventare uno Stato "normale" (e quindi simile al modello dello "Stato-nazione") per poter diventare Stato membro dell'Unione europea.
Come in un caleidoscopio, lo studio dei processi di transizione costituzionale dell'area balcanica, e dell'ordinamento della Bosnia ed Erzegovina in particolare, presenta tutte le questioni fondamentali del diritto costituzionale. A causa di certe analogie con l'evoluzione dell'Europa nel secondo dopoguerra - soprattutto la diversità che caratterizza sia l'Europa sia l'intera area balcanica, la
transizione democratica dopo un conflitto violento nonché il forte intervento esterno militare, economico e civile -, l'analisi dei processi di transizione in atto permette anche degli spunti di riflessione utili sul processo d'integrazione europea. Infatti, mentre nell'Europa occidentale sembra prevalere, con le necessarie distinzioni riguardo alle differenze storiche nei singoli ordinamenti, una concezione liberalindividualistica, basata sui diritti fondamentali individuali, e - almeno tendenzialmente - una civica nell'approccio costituzionale al fenomeno della diversità, tutti gli ordinamenti dei Balcani occidentali presentano delle deroghe - anche estreme - come dimostra il caso bosniaco, da tale approccio costituzionale optando, in qualche forma, per l'istituzionalizzazione del fattore etnico. Anche se è impossibile non tener conto dell'importanza del fattore etnico, sono due i principali rischi che ne derivano: da una parte, le rivendicazioni territoriali che possono minacciare l'esistenza stessa dei nuovi Stati ancora in fase di consolidamento e, dall'altra, il blocco (all'interno) di decisioni importanti a causa dell'uso ostruzionistico di garanzie forti come il potere di veto. È proprio la Bosnia ed Erzegovina, spesso caratterizzata come una "democrazia etnica", che dimostra le conseguenze estreme di questi rischi. Se questo concetto - visto come espressione della dominanza assoluta del fattore etnico e quindi in contrasto con i diritti fondamentali individuali ed altri principi costitutivi dello Stato costituzionale di diritto - non può essere accettato, è anche vero che esso non può essere semplicemente sostituito da un
concetto civico. L'obiettivo della convivenza pacifica nella società multietnica e l'integrazione
nell'ordinamento multinazionale richiedono correttivi del principio democratico tout court. Tuttavia, tali
correzioni a favore dei gruppi e del rispetto delle diversità non devono né mettere in questione le stesse fondamenta su cui è costruito l'ordinamento multinazionale - e quindi lo status paritario dei suoi gruppi e la lealtà nei confronti delle istituzioni comuni - né comprimere le libertà fondamentali individuali.
Di conseguenza, le domande principali poste dall'analisi delle difficoltà del caso bosniaco nella
creazione di un ordinamento multinazionale sostenibile per uno "Stato senza nazione" sono se - e come- sia possibile arrivare ad una "normalizzazione" in termini etnici e quali sono i contrappesi e
bilanciamenti necessari per garantire il rispetto della diversità e di una certa "laicità etnica",
relativizzando quindi il fattore etnico sotto il profilo istituzionale. Queste domande importanti, sia per il futuro consolidamento degli Stati dei Balcani occidentali e per la loro piena integrazione europea sia per il futuro dell'Unione europea stessa (diventata molto meno omogenea dopo gli ultimi due allargamenti), si condensano, come in un laboratorio, nella transizione costituzionale della Bosnia ed Erzegovina.

La transizione costituzionale della Bosnia ed Erzegovina: dall'ordinamento imposto allo Stato multinazionale sostenibile di Jens Woelk, casa editrice: Cedam, Padova, anno di pubblicazione:2008


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