Un libro utile alla comprensione di una regione che ha conosciuto l'onda d'urto delle ideologie totalitarie e dei nazionalismi del XX secolo ma anche per approfondire le controverse vicende del confine orientale

27/05/2009 -  Marco Abram

"Una storia balcanica" è una raccolta di saggi che ritorna sui grandi temi del secolo scorso, dai nazionalismi alle grandi ideologie totalitarie. Il contesto è quello della vecchia "polveriera d'Europa", una regione che ha conosciuto direttamente l'impatto di queste dinamiche, come Bertucelli titola la propria introduzione, "tutto in un secolo".

La raccolta si distingue in particolare per l'attenzione all'area di contatto tra la Jugoslavia e l'Italia: quello che da ovest viene solitamente chiamato "confine orientale". Si tratta di un nuovo contributo su tematiche che, nella riflessione pubblica italiana, per lungo tempo sono rimaste in ombra. Ma è soprattutto una reazione alle semplificazioni e alle strumentalizzazioni che hanno trovato spazio con l'esplosione politico-mediatica della questione e in occasione dell'istituzione del Giorno del Ricordo.

Parallelamente la raccolta è caratterizzata dalla sensibilità verso fenomeni di uso politico del passato ed i rapporti tra storia, politica e memoria. Queste problematiche sono al centro delle analisi di un paio di saggi, ma indirettamente riguardano tutti i contributi.

Nell'introduzione Bertucelli illustra l'ipotesi interpretativa alla base del libro. Viene osservato come, a fianco alle ideologie totalitarie protagoniste del secolo, nella storia della regione e del confine orientale sia da registrare una costante, ma mutevole, "persistenza del nazionalismo". In questo senso l'intreccio tra le grandi ideologie protagoniste del ventesimo secolo e il crogiolo dei conflitti nazionali, che ha caratterizzato l'area, ha determinato reciproche influenze tra culture politiche anche molto distanti. Un esempio significativo è l'interazione tra i nazionalismi e il socialismo internazionalista.

La serietà dell'impostazione garantisce una presa di distanza da qualunque forma di determinismo storico, in primo luogo rispetto al fallimento del progetto jugoslavo e ai conflitti degli anni '90. L'intento generale, sottolinea Bertucelli, è di "ricostruire nessi causali e collocazioni contestuali di più lungo periodo" per superare la superficialità di determinati approcci e meglio comprendere il carattere di eventi, anche drammatici, come quelli accaduti sul confine orientale.

L'arco temporale considerato è quindi molto ampio: dagli ultimi anni dell'Impero austro-ungarico fino alla fine del '900, segnata dalla disgregazione della Jugoslavia e dalla nascita dei nuovi stati balcanici. In tutto, nel volume, sono raccolti sette contributi: il primo gruppo riguarda direttamente le regioni di confine mentre gli ultimi tre si inoltrano maggiormente nei processi costitutivi e disgregativi della Jugoslavia.

Il primo saggio, di Vanni D'Alessio, parte dal nesso tra lingua e nazione e analizza la complessità di questo rapporto nell'evoluzione nazionale dell'Istria, dall'affermazione della dignità della lingua slava nell'Ottocento alle politiche di italianizzazione di cognomi e toponimi nell'Italia del periodo intrabellico. Nevenka Troha concentra invece la propria analisi sul progetto jugoslavo socialista sul confine orientale prima e dopo il secondo conflitto mondiale, evidenziandone il carattere nazionale sloveno e le difficoltà nei rapporti con il PCI. Sandi Volk prende in considerazione un altro aspetto chiave, anch'egli avvalendosi di un'analisi di lungo periodo: quello dei costanti spostamenti di popolazione e mutamenti demografici della regione nel '900. Lo studioso sloveno sottolinea la complessità del susseguirsi di movimenti bidirezionali, non mancando di riferirsi al problema della strumentalizzazione politica di queste situazioni. Il saggio di Mila Orlić si cala nelle dinamiche di creazione del potere popolare nell'intricato panorama istriano del dopoguerra, in cui la commistione di elementi ideologici e nazionali si tradusse in un difficile rapporto con la comunità italiana.

I due saggi successivi sono accomunati dall'attenzione verso la rielaborazione e strumentalizzazione della memoria del secondo conflitto mondiale in Jugoslavia. Il lavoro di Petrungaro, attraverso lo studio della storiografia e della manualistica, mette in luce la tensione tra il nuovo jugoslavismo, riedificato nella lotta partigiana, e i particolarismi nazionali. Vjeran Pavlaković sposta invece l'attenzione sul nuovo stato croato e sulla spinosa questione della riabilitazione degli ustascia e della memoria dell'NDH (Stato indipendente di Croazia) negli anni '90. Pavlaković si concentra sui diversi approcci dell'estrema destra del Partito Croato dei Diritti e della "riconciliazione nazionale" del presidente Tuđman, e sul superamento di questi riferimenti nella vita politica croata più recente.

L'ultimo articolo, dello studioso sloveno Čepić, allarga lo sguardo su tutta la vicenda della Jugoslavia socialista, dal 1945 al 1991, mettendo in luce alcuni problemi strutturali della Federazione. In questo senso sottolinea come il sistema vivesse un costante contrasto tra federalismo e centralismo e come il difficile equilibrio unitario si costruisse su un compromesso tra diverse visioni dello stato, spesso di carattere nazionale. Čepić analizza quindi i processi di ulteriore federalizzazione degli anni '70 fino ai contrasti che portarono, in seguito, alla disgregazione del paese.

"Una storia balcanica" offre quindi riflessioni e spunti molto variegati, che toccano tematiche non sempre strettamente affini ma comunque legate in un discorso più ampio. La raccolta ha il pregio di unire le voci, e i punti di vista, di studiosi di diversa provenienza e di proporre originali e seri lavori di ricerca, contribuendo a rafforzare un approccio ai Balcani, e non solo, che non perda di vista la complessità storica di queste vicende.


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