2 giugno 2008

di David Albahari
casa editrice: Zandonai
collana: I Piccoli Fuochi
anno di pubblicazione: 2008
pagine: 128
prezzo: 13,50 euro

Da un vecchio e cigolante magnetofono torna a risuonare, a distanza di alcuni anni dalla sua morte, la voce di una donna. È l’io narrante ad aver inciso su nastro questa singolare intervista alla propria madre e quando ne riascolta le parole è ormai emigrato in Canada, dopo essere fuggito dal proprio Paese, la Jugoslavia dilaniata dalla guerra civile.
Albahari tesse con straordinario talento narrativo una fitta trama di corrispondenze simboliche in cui il turbinoso destino di una famiglia ebraica e la testimonianza intensa e sofferta di una coraggiosa figura femminile – più che un angelo del focolare, quasi un angelo del dolore – vanno a comporre la biografia di un’intera nazione, fino al suo tragico disfacimento. E quando il narratore vorrà fare della propria madre la protagonista di un romanzo, ecco che il delicato rapporto fra realtà e finzione lo prende all’amo: la madre è anche la lingua madre da lui rimossa, le pagine rischiano di non essere mai scritte, e fra vita reale e vita immaginata si apre un implacabile confronto, lo stesso che oppone l’aspirante autore a un vero scrittore canadese, suo mentore e amico. Due “poetiche” differenti, due antitetiche visioni del mondo ‑ quella europea ostaggio della storia e quella nordamericana orgogliosamente priva di radici e di legami con il passato – rimandano entrambe alla possibilità di una lingua comune, che galleggi «in superficie, al limite dei mondi, al confine tra parola e silenzio».

David Albahari (1948) vive da molti anni in Canada ed è tra le voci più autorevoli della letteratura serba contemporanea. In italiano sono stati sinora tradotti La morte di Ruben Rubenovic (Hefti, 1989), Il buio (Besa, 2003) e Goetz e Meyer (Einaudi, 2006). Questo romanzo gli è valso il prestigioso premio NIN (1997).