Rossella Vignola 14 agosto 2014

Secondo il rapporto dell'agenzia di stampa turca Bianet aumentano i licenziamenti, gli attacchi e le intimidazioni ai danni dei giornalisti in Turchia. Ora che Erdoğan ha vinto le elezioni presidenziali, cosa accadrà alla libertà di espressione?

Secondo il monitoraggio sulla libertà di informazione condotto dell'agenzia di stampa Bianet, tra giugno 2013 e giugno 2014 384 giornalisti sono stati licenziati o costretti a lasciare il lavoro in Turchia. Secondo il rapporto, circa la metà di questi, ovvero 186 giornalisti, hanno perso il lavoro tra aprile e giugno 2014, in piena campagna elettorale.

Come sottolinea l'autore del rapporto, Erol Önderoğlu, "la struttura proprietaria dei media in Turchia continua ad accresce la facoltà del Primo ministro Recep Tayyip Erdoğan  e del governo di interferire nelle scelte editoriali".

Tra aprile e giugno 2014, i tre mesi monitorati da Bianet, 54 giornalisti, una testata locale e un portale di notizie web sono stati attaccati, e 5 giornalisti hanno subito minacce personali a causa del proprio lavoro. Nello stesso periodo 38 giornalisti sono stati condannati ad un totale di due mesi e 15 giorni di prigione e a pagare una pena pecuniaria di 277,400 lire turche per avere "insultato e attaccato i diritti personali del Primo ministro Erdoğan".

A luglio 23 giornalisti si trovavano in carcere in Turchia, anche se il picco si è registrato tra maggio e settembre dello scorso anno, in coincidenza con le proteste di Gezi Park, quando in pochi mesi si aprirono le porte del carcere per 39 giornalisti turchi .
L'impunità continua a dominare lo scenario della giustizia per quanto riguarda la libertà di espressione: nessuna azione giudiziaria è stata infatti intrapresa contro le forze di polizia che ferirono 153 giornalisti durante le manifestazioni dell'estate scorsa ad Istanbul.

Ma le limitazioni della libertà di espressione in Turchia hanno colpito severamente anche internet e i social media  a partire dalla scorsa primavera, quando il Premier Erdoğan ha dichiarato che "i social media sono la peggiore minaccia della società ", ed ha imposto un bando all'uso di Twitter e Youtube.

Le organizzazioni internazionali osservano con preoccupazione il deterioramento della libertà di stampa e di espressione in Turchia. Il paese presenta diversi problemi che limitano strutturalmente l'accesso alle informazioni: gli assetti proprietari, il sistema legale che criminalizza la diffamazione, la severità della legge anti-terrorismo, e una serie di norme del codice penale che prevedono pene severe per reati di "oscenità", "diffamazione religiosa", insulti al popolo turco, allo stato e ai suoi organi.

Secondo Freedom House la Turchia è al 154 posto su 180 paesi nel World Press Freedom Index: secondo il think tank negli ultimi anni il governo turco e le varie agenzie governative hanno accresciuto in modo evidente la manipolazione mediatica.
Molti osservatori guardano con preoccupazione al futuro della democrazia turca. Ora che Erdoğan ha trionfato alle elezioni presidenziali di domenica, ci si aspetta che le interferenze del potere politico sui media crescano ancora.

 

Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell'Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Safety Net for European Journalists. A Transnational Support Network for Media Freedom in Italy and South-east Europe.