Rossella Vignola 12 novembre 2014

Un voto della Commissione ambiente del Parlamento europeo (PE) ha rafforzato la possibilità per gli stati di bloccare la coltivazione e l'importazione di Ogm nel proprio territorio anche in presenza di un'autorizzazione adottata a livello comunitario

Ieri la Commissione ambiente, salute pubblica e sicurezza alimentare (ENVI) del Parlamento europeo ha approvato a larga maggioranza (51 sì, 11 no e due astensioni) la relazione con le raccomandazioni stilate dall'eurodeputata belga Frédérique Ries (ALDE) che prevede la possibilità per gli Stati membri di limitare o bandire la coltivazione di Ogm sul territorio nazionale anche se autorizzati a livello comunitario.

La decisione della Commissione ambiente è un passo ulteriore verso la definizione di un dossier complesso, segnato da un decennio di battaglie legali, difficili negoziati, e da un ricorso al WTO da parte degli Stati Uniti che accusavano l'Unione europea di chiudere il proprio mercato alle varietà transgeniche prodotte oltreoceano.

Lo scorso giugno, dopo quattro anni di trattative,  il Consiglio dei ministri ha raggiunto un importante accordo politico sulla modifica dell’attuale direttiva europea in materia di OGM. Alla base del compromesso, la possibilità per gli stati membri di “opt out”, ovvero di scegliere di limitare o vietare la coltivazione di OGM sul proprio territorio anche in disaccordo con la decisione presa a livello comunitario dalla Commissione europea a cui spetta decidere, dietro parere dell’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (Efsa), sull’autorizzazione alla coltivazione e all’importazione di organismi transgenici a livello comunitario.

L’accordo dello scorso giugno, che pure aveva un’importante valenza politica in quanto apriva la possibilità per gli stati membri di non rispettare una decisione della Commissione, appariva però troppo generico, e non abbastanza solido dal punto di vista delle garanzie giuridiche per gli stati che avessero deciso di applicare la “clausola di salvaguardia” a livello nazionale. Le raccomandazioni approvate ieri dalla Commissione ENVI allargano la gamma dei motivi cui gli stati possono appellarsi per giustificare una decisione diversa rispetto a quella presa a livello europeo e dunque bloccare la coltivazione o l’importazione di OGM nel proprio territorio, includendo un "criterio ambientale" precedentemente non contemplato. Il testo prevede, infatti, la possibilità per gli stati membri di invocare, oltre ai fattori socio-economici, considerazioni legate alla pianificazione urbana e rurale e a obiettivi di politica agricola o di destinazione del suolo, già previsti dalla versione proposta dal Consiglio, anche aspetti ambientali, come la tutela della biodiversità, la resistenza degli OGM ai pesticidi, o il rischio contaminazione. 

Secondo la relatrice Ries , “la relazione è il riflesso di molte preoccupazioni della Commissione. I criteri e le motivazioni, come l’utilizzo del territorio, il rispetto per la biodiversità, la resistenza ai pesticidi sono molto meglio articolari, molto più precisi rispetto al testo troppo vago della Commissione”. Dello stesso avviso anche Marco Contiero , direttore per le politiche agricole di Greenpeace UE: “Gli eurodeputati hanno migliorato il testo del Consiglio, fortemente influenzato dalla linea britannica pro-OGM”, ha affermato Contiero. 

Il PE si era già espresso nel 2011 sulla bozza di direttiva per la “ri-nazionalizzazione” a favore di un quadro giuridico più robusto a garanzia dei divieti nazionali agli OGM. Ora, con le raccomandazioni approvate ieri, il PE si avvia verso il rafforzamento della norma che garantisce reale solidità giuridica alle iniziative degli stati che intendano vietare o limitare la coltivazione e l’importazione di OGM sul proprio territorio. La questione dovrà ora essere dibattuta in seconda lettura dal PE in seduta plenaria, e toccherà alla Presidenza di turno italiana il compito di trovare l’accordo politico e chiudere il dossier OGM presumibilmente entro la fine dell’anno.

 

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