Recentemente Paolo Rumiz ha indirizzato una lettera aperta al Presidente Napolitano sul problematico rapporto dell'Italia con il suo passato fascista. L'autore è stato intervistato dal quotidiano sloveno Dnevnik. Nostra traduzione

05/06/2008 -  Anonymous User

di Franco Juri, Dnevnik, 31.05.2008 (tit. orig."Nihče več se ne odziva, nihče več se ne zgraža")
Traduzione di Osservatorio sui Balcani

Il triestino Paolo Rumiz è un viaggiatore, ciclista, alpinista, velista, scrittore e giornalista del quotidiano romano La Repubblica. Nella prima metà degli anni '90 è stato corrispondente di guerra dalla Jugoslavia che andava in pezzi, ha pubblicato contributi sulla Palestina e su Israele, e il suo ultimo libro, "La leggenda dei monti naviganti", è ben più di un semplice diario di quel viaggio che lo ha portato ad attraversare oltre ottomila chilometri di strade montane, prevalentemente in bicicletta, lungo tutta l'Italia, e in parte anche in Slovenia, Croazia e Austria.

Da anni, Rumiz osserva e descrive il variegato mosaico delle piccole patrie (Heimat) che compongono l'Europa Centrorientale. Il concetto di Heimat lo attrae, ma al contempo lo ripugna non appena assume i connotati di un pretesto per giustificare atteggiamenti xenofobi. Recentemente ha pubblicato sul quotidiano triestino Il Piccolo - con cui ha collaborato per lunghi anni in qualità di corrispondente dai focolai di guerra in Jugoslavia - una lettera aperta al Presidente Giorgio Napolitano, in cui sosteneva che, in parte, la minor credibilità e influenza di cui l'Italia gode nell'ambito dell'UE rispetto, ad esempio, alla Germania, è riconducibile anche alla mancata chiarificazione della propria posizione nei confronti del passato fascista e dei crimini contro i vicini popoli slavi. Nello stesso quotidiano ha inoltre recentemente denunciato una sempre più pubblica e indisturbata riesumazione e riabilitazione del fascismo.
Rumiz ha festeggiato i propri sessant'anni a Botazzo, in cima alla Val Rosandra, nella gioiosa notte segnata dalla caduta dei confini e dall'ingresso della Slovenia nell'area Schengen.

Il Presidente Napolitano le ha forse risposto?

No, credo che non rientrasse tra i suoi doveri farlo. Ancor più stridente, però, è il fatto che a quella lettera non abbia pensato di replicare nessun politico, né di destra, né di sinistra. In compenso ci sono state reazioni da parte della gente comune, che vuole che questi temi, di cui più nessun politico si occupa, vengano affrontati.

Lei è stato tra i principali oratori in occasione della giornata di liberazione celebrata a Sgonico, sul Carso triestino. Lì, come anche su Il Piccolo, ha lanciato il suo avvertimento riguardo al nuovo affermarsi del fascismo, sebbene in una veste nuova: senza più il manganello, più elegante e sofisticato, eppure... come ha scritto in un suo commento, nessuno ha reagito alla citazione mussoliniana ("Pochi nemici, poca gloria") che lei ha prontamente rilevato nel bel mezzo di Piazza Unità durante la tradizionale corsa triestina della Bavisela. Un'indifferenza eloquente?

Niente più manganelli, la nuova destra che prospera sull'onda del populismo mediatico berlusconiano non ne ha bisogno. In questo paese nessuno più reagisce, nessuno più si scandalizza per le forme del peggior nazionalismo, e lo stesso avviene anche in Slovenia e Croazia. Abbiamo perso il senso del pericolo di tali fenomeni e linguaggi, a volte persino peggiori di quelli che hanno spianato la strada alle guerre nei Balcani.

A lei piace occuparsi delle identità, delle "piccole patrie" di queste terre di confine. Ha forse osservato delle analogie tra il crescente fenomeno della Lega Nord di Bossi in Italia, l'affermazione di Heider in Austria e il nazionalismo da noi in Slovenia?

Sono profondamente convinto che sia necessario valorizzare nel modo giusto le piccole patrie, ma queste si chiudono in se stesse non appena presentono un pericolo, oppure quando una certa sinistra liberale le tratta con sufficienza, etichettandole come banali fenomeni folcloristici o allontanandole con un sorriso che rasenta la derisione. Sono particolarmente legato alla mia "piccola patria", pur essendo un grande viaggiatore. Temo però che queste Heimat, quando si sentono trascurate e non trovano una politica capace di metterle in rete, preferiscano chiudersi in sé, trasformando il culto dell'identità nel culto dell'idiotismo, dove con il termine greco idiotos mi riferisco a coloro che non lasciano mai le proprie valli e pensano di trovarsi nell'ombelico del mondo.
Siamo dunque in una fase di totale idiotismo, in cui il mondo ha una profonda e motivata paura della globalizzazione condotta dai forti centri di potere. Ne consegue un ripiegarsi su se stessi che in realtà rafforza i superpoteri globali. Ci troviamo quindi ancor più divisi, vittime ancor più vulnerabili del consumismo e del culto dello spendere.

Lei crede che l'11 settembre e il terrore che ne è conseguito rappresentino il punto di svolta che ha dato un'impennata a questi fenomeni e alla globale paura della diversità?

La paura globale e il terrore sono stati abilmente sfruttati da chi ambisce a governare il mondo a proprio piacimento. La libertà personale e la privacy dei singoli sono oggi ridotte ai minimi termini, stiamo vivendo una fase di rafforzamento di un fascismo velato e di un crescente controllo degli individui...

In nome della sicurezza?

Sì, in nome della sicurezza. E tutto fa pensare che siamo tutti soddisfatti e disposti a rinunciare a certi diritti fondamentali.

In Italia la destra ha vinto anche per questi motivi?

Certamente, anche se non si tratta di un fenomeno esclusivamente italiano, ma di dimensioni europee, mondiali, che sfrutta i silenzi della politica e la sua incapacità di collegare in rete le diversità per favorirne la crescita e lo sviluppo.
Oggi siamo succubi di quel mondo dei media gestito da pochi, in misura dieci volte maggiore rispetto all'epoca del fascismo classico. Per questo sostengo che non hanno più bisogno dei manganelli. Questo è il nuovo fascismo, ed è dunque necessario anche un nuovo antifascismo. Le varie manifestazioni e celebrazioni pubbliche dedicate alla liberazione non dovrebbero essere ridotte soltanto alla ripetizione dei funerali di ciò che è già stato sepolto. Il problema non consiste tanto nella ripresa del veleno fascista, quanto piuttosto nella sparizione del vaccino dalla nostra società. Intendo dire che nell'attuale realtà di diffusa stupidità e di consumi irrazionali potrebbe apparire un salvatore che ci potrebbe indurre verso una determinata scelta in nome della sicurezza, senza che nessuno gli si contrapponga seriamente.

Non si tratta forse del noto potere della maggioranza silenziosa?

Esattamente.

Nel suo ultimo contributo a Il Piccolo, che ha avuto grande risonanza, lei rimprovera alla sinistra di seguire la destra e di imitarla proprio su quei temi che in passato erano gli argomenti chiave della differenziazione politica.

Si tratta proprio dell'afasia di una certa sinistra che si sforza soprattutto di dimostrare di non avere più alcun legame con il comunismo, di non essere antiamericana, antisraeliana ecc. D'altra parte, la destra non sembra mostrare alcun complesso per il proprio passato fascista. Per questo la memoria assume un'importanza storica cruciale; in fondo, per oltre sessant'anni abbiamo curato il ricordo della Resistenza e della ribellione solo in riferimento ai grandi crimini, prevalentemente nazisti, quindi tedeschi. Troppo spesso abbiamo dimenticato l'avvento del fascismo e le conseguenze tragiche che ha portato già prima della guerra.
In nome dell'unità nazionale la sinistra è scesa a patti riguardo a qualcosa che la destra ha abilmente manipolato. Il diffuso e generalmente accettato assioma degli "Italiani brava gente" si mantiene a causa del silenzio sugli orrori del fascismo. Così, ad esempio, la destra triestina, in occasione del 50° anniversario dell'arrivo delle truppe italiane a Trieste, ha tentato di dimostrare come Trieste sia stata realmente liberata solo allora, dopo un'occupazione alleata durata nove anni e preceduta da altre, quella tedesca e jugoslava prima, quella inglese e americana poi. L'intento dell'intera manovra è offuscare il ricordo di ciò che è avvenuto prima del 1943. E su questo tace anche gran parte della sinistra.

Con un tono di lieve rimprovero, nella lettera a Napolitano lei ha ricordato che dei crimini perpetrati dalle truppe italiane durante la seconda guerra mondiale, anche in Jugoslavia, non si parla.

Proprio così. Se da un lato è pur vero che i soldati italiani sono stati generalmente un po' meno sanguinari, opinione confermata da un ricordo in linea di massima positivo che degli italiani si conserva in Russia, questo dovrebbe spronarci ancor più a muovere il primo passo verso il pentimento e la riapertura dei dolorosi capitoli dell'occupazione italiana. Solo in questo modo avremmo il diritto di esigere anche dagli altri di togliere i loro scheletri dagli armadi. Ma questo non avviene e in cambio ci offrono una spiegazione secondo cui dopo la guerra c'è stata una pulizia etnica a danno degli italiani, mentre in realtà si era trattato di una resa dei conti politica. Il paradosso più grande è che tali tesi etniche vengono sostenute proprio da un fronte altrettanto pregno di ostilità etnica. Non lo sto spiegando agli sloveni, pur trattandosi di un'intervista per un quotidiano sloveno. Queste sono cose che da tempo ripeto con pazienza ai miei connazionali, agli italiani. Non lo sto dicendo per imbonire i nostri vicini, ma semplicemente perché, se si vuole comprendere davvero la storia, ciascuno deve prima fare i conti con la propria coscienza. Mi sforzo a farlo in primis io stesso, a casa mia...

Lei avverte il Presidente che a causa di questi ritardi, per aver sepolto nell'oblio il proprio passato controverso, l'Italia sta rischiando di perdere il treno e quindi l'influenza nell'allargamento europeo verso Est, mentre la Germania, avendo ammesso il proprio passato scottante, è molto più credibile e influente.

La Germania ha indubbiamente anche un grande potere economico, condizione necessaria per ricoprire un ruolo influente, ma è anche vero che la Germania è diventata il paese più influente in Europa nonostante i brutti ricordi, ben peggiori di quelli italiani, lasciati dietro di sé. Forse la Germania, proprio a causa degli orrori del nazismo, si è sentita moralmente obbligata a fare i conti con il proprio passato.

Pagando un prezzo molto alto...

La Germania ha dovuto affrontare Norimberga, e il mea culpa tedesco, in un certo senso, in pratica continua ancora oggi a livello delle istituzioni e di tutti i partiti politici, esclusi naturalmente i gruppi neonazisti e i naziskin. La politica europea della Germania si è formata proprio a partire dalla consapevolezza che gli errori del passato non vanno ripetuti. Noi invece, analogamente all'Austria, che si pone come supposta vittima del nazismo tedesco, mentre invece vi ha collaborato, trascuriamo quest'aspetto...

Cosa accadrebbe se Haider facesse il saluto romano, come abbiamo visto fare recentemente i sostenitori del nuovo sindaco di Roma Alemanno?

Non ho mai visto il governatore della Carinzia o i suoi sostenitori in tale atteggiamento. Se si arrivasse a questo, nascerebbe un grande scandalo, perché Haider è austriaco, perché il suo nome inizia con la lettera H e termina con la R, perché appartiene a un certo tipo di famiglia e ha determinate idee... Ad ogni modo, Haider mi pare ben più concreto del nostro triumvirato, che a volte si concede degli "scivoloni" inverosimili, imperdonabili anche per quanto riguarda le relazioni di collaborazione e amicizia con gli altri popoli europei.

In questo "triumvirato" che attualmente governa l'Italia, il postfascista Gianfranco Fini, Presidente della Camera, appare come uno dei politici più "normali" e colti. Dall'altra parte ci sono invece Berlusconi e Bossi...

Proprio il discorso d'insediamento di Fini alla Camera, di grande intelligenza politica, ha rivelato la distanza tra la nostra sinistra e i valori del fascismo. In una parte del suo abile discorso, Fini ha reso omaggio anche al movimento di resistenza antifascista, superando di misura la sinistra da destra.
D'altra parte, nelle ultime elezioni la Lega Nord di Bossi ha raccolto un grandissimo numero di voti operai, un tempo appannaggio della sinistra, e si è quindi concessa persino di prendere in giro Luca Cordero di Montezemolo, il simbolo del capitalismo italiano. Ha comunicato con il linguaggio dell'uomo comune, e appare sorprendente che il partito abbia potuto raccogliere così tanti voti essendo diretto da un leader parzialmente paralizzato, considerato perfido e che dice cose spiacevoli, proprio in un momento in cui prevale ovunque il buonismo dei vari bellissimi con una calza nylon da sera in testa. Tutto ciò sta ad indicare il vuoto che si è creato a sinistra, dove nessuno più rimane sconcertato di fronte alle ingiustizie. Bossi non offre alcuna soluzione, è soltanto un efficace megafono dello scontento, come lo sono tutti i populisti. Ma la sinistra non offre nemmeno il megafono... Come possono gli italiani di ceto medio-basso identificarsi con gli occhi soddisfatti e il triplo mento di Walter Veltroni, che si presenta agli spettacoli cinematografici a Roma in compagnia di Nicole Kidman? Cos'ha da spartire con questo personaggio l'uomo comune? Nulla! La gente evidentemente preferisce il linguaggio da bettola dei leader della Lega Nord.
Ricordo che già anni fa avevo avvertito la sinistra riguardo alla sottovalutazione di questi fenomeni. In modo analogo, gli intellettuali bosniaci e serbi ridevano quando si faceva riferimento all'"osteria balcanica" e a tutto quel che avveniva in quei luoghi fumosi, dove scorreva e si addensava tutta la bile dello stato e della nazione. Lì, proprio lì, si creava e cresceva l'odio verso il mondo.

Tutti noi speravamo che questa storia si fosse conclusa con la fine delle guerre nell'ex Jugoslavia, ma durante la campagna elettorale italiana abbiamo sentito almeno due volte le minacce di rivolta armata pronunciate da Bossi.

Alcune metafore di guerra in realtà fanno tradizionalmente parte del lessico da campagna elettorale, come ad esempio quella delle trecentomila baionette bergamasche pronte ad attaccare Roma, che rappresenta la rabbia della gente comune per l'inefficienza dello stato. Oltre a questo, però, esistono termini e parole che portano con sé grandi pericoli. La soluzione non sta nello scandalizzarsi a causa di questa o quella parola, quanto nel comprendere i motivi per cui la Lega ha riscosso successo soprattutto dopo essersi appropriata di quelle metafore alle quali la sinistra aveva rinunciato. E' possibile che a sinistra non ci sia più nessuno capace di incitare in maniera convincente il popolo verso qualcosa? Con la sola eccezione, assolutamente non caratteristica, del Partito di Rifondazione Comunista, non ci sono più richiami alla mobilitazione, intendo dire in termini politici, non militari. Questa "smobilitazione" della sinistra ha offerto un immenso capitale di metafore ad un solo partito, la Lega Nord.

Cosa succede, tutto sommato, in Italia? A Napoli bruciano i campi Rom, si parla della "situazione eccezionale a causa dei Rom", il governo nomina "commissari straordinari per i Rom"...

Questo è semplicemente il frutto di quella sinistra che insegue la destra sul terreno del manganello. I sindaci di sinistra hanno attuato già da tempo esattamente quello che ora il governo sta facendo in nome della patria e al sicuro dalle critiche dell'opposizione. Proprio come nella Repubblica di Weimar, stesso clima. L'antifascismo che deve dimostrare di non essere più comunista e il fascismo che non ha alcun bisogno di prendere le distanze da se stesso. Si sta creando una xenofobia che controlla la situzione, segnale di un'identità debole. L'Italia non vuole bene a se stessa, alle proprie leggi e al proprio territorio, li considera un ostacolo all'arricchimento. Viviamo in un paese in cui la parola "valore" provoca una risatina di superiorità. E di fronte all'ondata d'immigrazione si rafforza il mito della razza e del sangue. È più semplice incitare alla ribellione piuttosto che invitare a riflettere. Per questo ci stiamo rapidamente balcanizzando. Qui non ci sarà mai un federalismo fondato sulla solidarietà e sul rispetto di regole, valori e diritti comuni. Sono estremamente pessimista.

In qualità di osservatore di frontiera, vede qualche parallelo tra la situazione italiana e quella slovena?

Ho sentito Zmago Jelinčič incitare di fatto alla guerra contro la Croazia, cosa ancora più pericolosa.
In Slovenia effettivamente l'orgoglio nazionale è superiore a quello italiano, e questo spesso può svilupparsi in direzione nazionalista, come emerge chiaramente dalla questione irrisolta dei cancellati. Essendo la Slovenia un paese obiettivamente piccolo, le trappole del nazionalismo e dei suoi meccanismi di autodifesa sono un fenomeno quasi fisiologico. Non è sufficiente cantare un inno come la Zdravljica di Prešeren per difendersi dal nazionalismo. Il problema però sta nel fatto che questo nazionalismo in realtà non difende da nulla, al contrario, con i suoi slogan vacui ti disarma proprio laddove sei maggiormente esposto e dove i centri di potere del capitale multinazionale hanno maggiore facilità nel manipolarti.

Come si spiega il fatto che anche in Slovenia, membro a pieno titolo dell'UE, attualmente perfino incaricata della presidenza dell'Unione Europea, ci sia tanto nazionalismo, e come valuta la diatriba tra la Slovenia e la Croazia?

Secondo me si tratta di un residuo dei "Balcani", non perché la Slovenia si trovi nei Balcani, ma piuttosto nell'accezione che questo termine assume quando si propongono spiegazioni per un certo modo di rapportarsi con ciò che ci circonda; la convinzione che si viva meglio divisi che uniti. In questo senso si dimentica troppo spesso quanto sia bello vivere mantenendo ottimi rapporti con i vicini. Non è però una caratteristica solamente slovena o croata, si tratta di una "balcanicità" che nella versione descritta si ritrova in ciascuno di noi, in Italia e altrove. La Slovenia ha però un'ulteriore peculiarità, perché si sente una specie di guardiano dell'Unione Europea. Io stesso osservo nei vostri poliziotti, al confine o per strada, il comportamento tipico del primo della classe.

Gli italiani e gli altri europei che vengono dalle nostre parti ne sono infastiditi?

Ci sono dei momenti in cui da questo punto di vista il confine sloveno-croato è particolarmente fastidioso, perché li si percepisce il senso di superiorità di quelli che si sentono "dentro" rispetto a chi sta "fuori"... In realtà la Slovenia è una realtà estremamente complessa, non solo in senso geografico e culturale, ma anche in senso caratteriale; è una società allo stesso tempo molto europea e molto nazionalista. Inoltre, è estremamente pragmatica, legata agli affari e al denaro, il che non è sempre un male, perché spesso gli affari spianano la strada alla collaborazione con gli altri. Ma questo senso pragmatico è in contrasto con gli slogan che spesso sento in Slovenia.

Lei ha dedicato il libro "Vento di terra" all'Istria, dove rileva che il confine sloveno-croato di fatto divide due mondi e che la vera Istria mediterranea inizia a sud della Dragonja.

Ho scritto quel libro solo qualche anno dopo il crollo dell'ex Jugoslavia e la proclamazione dell'indipendenza di questi due paesi, in un'epoca in cui entrambi i nazionalismi venivano celebrati in modo molto evidente con i relativi simboli e inni. La polizia di frontiera agiva in base agli ordini impartiti dalle rispettive capitali. Poi un giorno - non lo dimenticherò mai - sul confine istriano si è presentato un simpatico signore corpulento in sella a una bici: era Romano Prodi. La polizia slovena, rispettando le proprie competenze, lo ha lasciato passare in maniera ufficiale e severa, ma con un sorriso che rivelava imbarazzo. Quando poi Prodi, in sella alla sua bici, è entrato in Croazia, la polizia croata è quasi impazzita, non potendo comprendere come un politico della sua levatura potesse tranquillamente girare in bici da solo, come un normale cittadino. Quello che per gli sloveni e per la mentalità mitteleuropea in genere era normale - il fatto che un politico potesse passeggiare normalmente in mezzo a tutti gli altri - in Croazia, ovvero solo qualche metro più a sud, era considerata un'inconcepibile esagerazione.

Il Ministro per la semplificazione normativa Roberto Calderoni, a causa dei rumeni, ha recentemente minacciato di revocare il regime Schengen e di ripristinare i controlli doganali sul confine con la Slovenia.

A Calderoli bisognerebbe solo spiegare che se l'Italia deciderà di applicare il federalismo fiscale richiesto dalla Lega Nord, il nostro paese si "jugoslavizzerà" rapidamente, arrivando ad un punto tale per cui gli altri cominceranno a valutare l'opportunità di reintrodurre i confini con l'Italia.

L'Istria rimane una ferita aperta per una certa parte di Trieste, quella degli esuli.

Agli esuli nessuno ha spiegato che, dal punto di vista storico, è stata la destra fascista quella che si è sempre presa gioco di loro e che alla fine ha causato il loro dramma. Per questo hanno dovuto abbandonare le proprie case in Istria. Più tardi, dopo la guerra, è stata ancora la destra a sfruttare gli esuli a fini elettorali, senza risolvere nessuno dei loro problemi. Aveva tutti gli interesse affinché quella ferita rimanesse aperta, e oggi è ancora la destra, stavolta assieme ad una parte della sinistra, a impedire che si facciano i conti con la storia, il che permetterebbe l'avvio di una tanto necessaria "ostpolitik" italiana.

Come è successo in Germania?

Sicuramente in termini più modesti...


Hai pensato a un abbonamento a OBC Transeuropa? Sosterrai il nostro lavoro e riceverai articoli in anteprima e più contenuti. Abbonati a OBCT!