La storia della famiglia Abuja e della sua attività economica. Un modo per raccontare un confine ed una città, Gorizia, nella prima parte del '900. Un articolo tratto da Isonzo-Soca (Tratto da Isonzo-Soča n.69, settembre-ottobre 2006)

26/02/2008 -  Anonymous User

Di Giangiacomo Della Chiesa

La famiglia Abuja, originaria dei dintorni di Graz, si trasferì nei pressi della città di Gorizia nella seconda metà dell'Ottocento per inserirsi nella dinamica economia del Litorale (Kuestenland) che la politica locale e dell'Impero aveva stimolato.

Infatti il Kuestenland si era specializzato nella produzione di prodotti mediterranei per il mercato interno asburgico che, data la sua posizione geografica, deficitava di altri territori a clima mediterraneo.

La famiglia Abuja, per la precisione, si specializzò nella produzione del vino, acquaviti e spiriti. In questo campo ebbe una funzione intermediaria tra i produttori locali del Collio e del Carso e i potenziali acquirenti in Carinzia e Stiria in particolar modo. In seguito riuscì a commercializzare tali prodotti fino a Vienna e a Monaco.

La ditta And. Abuja aprì i battenti a Gorizia nel 1899. Una cosa va detta subito. Perché "And. Abuja" fu il nome scelto dalla ditta? Perché il fondatore della ditta era appunto Andrea Abuja. Ma allora perché abbreviare il nome in "And."? Per un motivo semplice: perché operando la ditta in una città con una forte presenza italiana, avendo però fornitori sloveni e clienti tedeschi, il fondatore scelse di usare solo la prima parte del suo nome, comune a tutte e tre le lingue, italiana, slovena e tedesca, come marchio di fabbrica sia per la ditta sia per le etichette da applicare alle bottiglie. Un bell'esempio di diplomazia asburgica!

L'attività degli Abuja, il padre con i due figli Andrea e Antonio, arrivò al massimo della sua espansione nel 1914, grazie al miglioramento delle vie di comunicazione che univano Gorizia al resto dell'Impero, avvenuto nel 1906. Infatti in tale anno venne inaugurata la ferrovia Transalpina che metteva direttamente in contatto Gorizia con l'Austria facilitando e accorciando di molto il tragitto che le botti di alcolici dovevano fare per raggiungere i mercati interni. E così, quando la ferrovia fu inaugurata la ditta Abuja si trasferì in prossimità dell'attuale piazza De Amicis, allora piazza Corno, per essere più vicina alla ferrovia che sarebbe diventata la principale "strada" per i prodotti Abuja alla conquista dei mercati centroeuropei.

Purtroppo nel 1914 scoppiò la prima guerra mondiale e i destini di Gorizia e degli Abuja, ma anche di molte altre realtà economiche simili alla loro, incominciarono a intrecciarsi tra loro in un circolo vizioso di declino. Infatti, sia durante il conflitto che nel dopoguerra,
a causa dei cambiamenti dei confini, i piani commerciali della ditta (ma, ripeto, non solo degli Abuja ma di tutto un universo di medi e piccoli commercianti) furono completamente mandati all'aria.

Dal 1919 al 1925 gli Abuja cercarono di mantenere dei rapporti con l'Austria (per l'esattezza aprirono una filiale a Graz per non perdere il mercato della Stiria e della Corinzia) ma le nuove barriere doganali e i nuovi confini, tra l'altro ben più ermetici di quelli precedenti al conflitto a causa del trionfo dei nazionalismi un po' in tutta Europa, determinarono l'impossibilità di continuare a operare in un paese che era diventato "estero" e quindi la filiale, nel 1925 venne chiusa.

Dal 1925 fino al 1939 vediamo gli Abuja ripiegare sul mercato locale (intanto era avvenuto il passaggio di consegne dal padre ai figli, con conseguente cambio del nome della ditta in "F.lli Abuja") e quindi operare esclusivamente nella valle dell'Isonzo, in quella del Vipacco e nella città di Trieste. Ovviamente la ferrovia rimase sempre, ancora, il mezzo privilegiato per il trasporto dei prodotti. A tale strategia commerciale si aggiunse quella della trasformazione degli Abuja in grossisti dei nuovi alcolici provenienti dall'Italia. Infatti se l'arrivo dell'Italia frenò i progetti di espansione della ditta in Centroeuropa, contemporaneamente un afflusso di nuovi abitanti provenienti dal resto della Penisola, associato all'arrivo di prodotti alcolici italiani (spesso di qualità e varietà superiori a quelli
del vecchio Impero asburgico) determinarono un arricchimento del mercato locale con conseguente aumento del giro d'affari.

Con lo scoppio del secondo conflitto mondiale le speranze per un ritorno verso il mercato del Centroeuropa si riaprirono, soprattutto dopo l'8 settembre del 1943 quando le truppe tedesche accorparono al Terzo Reich i territori che un tempo si chiamavano Kuestenland.

Infatti vediamo subito degli agenti della ditta goriziana recarsi a Lubiana per verificare la possibilità di agire negli antichi mercati. Ma tale speranza si rivelerà un fuoco di paglia e si spegnerà non appena le truppe tedesche saranno sostituite da quelle americane.

L'importanza di questa famiglia nella città di Gorizia è dimostrata dal fatto che gli americani scelsero Andrea Abuja figlio e suo fratello Antonio per farli partecipare alla vita politico-amministrativa durante il Governo Militare Alleato dal 1945 al 1947. Il primo fu nominato dal comando alleato nel consiglio comunale, il secondo fece parte di alcune commissioni comunali incaricate del ripristino della normale amministrazione della città dopo i travagliati anni della guerra.

Finito il periodo del G.M.A. e dopo le prime elezioni democratiche sotto l'Italia repubblicana, non troveremo più gli Abuja impegnati in politica o nell'amministrazione della città, come molti di coloro che erano stati nominati nel consiglio comunale dal
G.M.A., una buona parte del quale era composta da commercianti come gli Abuja (Bortolo Mischou, Guido de Braunizer).

Nel contempo il nuovo cambiamento dei confini eliminò quel poco del mercato (compresa la ferrovia Transalpina) che era rimasto dopo il primo conflitto mondiale. Quindi la ditta Abuja, come molte altre ditte commerciali goriziane, finì con il vivere dei sussidi di Zona Franca.

Il commercio goriziano nel secondo dopoguerra venne identificato semplicemente con il
microcommercio di vestiti e generi alimentari venduti agli sloveni dai negozi di via Rastello e dintorni. In realtà Gorizia da realtà commerciale diventò una città che visse e vive tutt'ora solo con l'impiego pubblico e gli aiuti di Zona Franca. Tutti strumenti forniti dallo stato per la sopravvivenza della città, i quali però non bastarono né ad impedire il declino economico della città né il suo conseguente spopolamento.


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