10 pannelli, montati in sequenza, per risvegliare gli interrogativi dei ragazzi italiani su di un passato recente che impone il bisogno di una storia condivisa tra Italia e paesi dell'ex Jugoslavia

01/03/2008 -  Anita Clara

È una mostra semplice, fatta di 10 pannelli montati in sequenza, che riportano testi e fotografie disposti secondo un ordine didattico. Intende approcciarsi a un tema controverso in maniera lineare, quasi schematica, e risvegliare la coscienza e gli interrogativi dei ragazzi italiani su di un passato recente che adesso impone il bisogno di una storia condivisa tra Italia e paesi dell'ex Jugoslavia. Si tratta della mostra "Fascismo, Foibe, Esodo - La tragedia del confine orientale", realizzata dalla Fondazione Memoria della Deportazione di Milano, ente aderente all'Istituto Nazionale per la Storia dei Movimenti di Liberazione in Italia e patrocinato dalla Regione Lombardia. Esposta in occasione della giornata del ricordo presso la Biblioteca Civica di Codroipo, nella provincia udinese, l'installazione sarà trasferita a partire dal 3 marzo e allestita successivamente in tre diverse scuole superiori di Udine: l'Istituto d'Arte "Sello", il Liceo Scientifico "Copernico" e l'Istituto Tecnico "Deganutti".

Nelle prossime settimane, i principali destinatari dell'iniziativa saranno quindi i giovani friulani, ovvero le ultime generazioni di un territorio dove sorsero, nel giro di pochi anni, prima due campi di concentramento per prigionieri sloveni e croati deportati durante la colonizzazione fascista della Jugoslavia (i campi di Visco e Gonars), poi due campi di smistamento e accoglienza per profughi italiani fuggiti durante l'esodo da Istria e Dalmazia (i campi di via Gorizia e di via Pradamano a Udine).

Come ha spiegato il professor Enrico Folisi, docente di Storia all'Università di Udine, durante la presentazione della mostra, «in termini storici non si può parlare a compartimenti stagni, una volta di occupazione e un'altra volta di guerra di liberazione, una volta di pulizia etnica da parte dei fascisti nei confronti degli jugoslavi e un'altra volta di pulizia etnica da parte dei partigiani titini nei confronti degli italiani. I dieci pannelli propongono giustamente la riconsiderazione di fatti storici che non devono venire estrapolati dal contesto, perché risultano concatenati tra loro. Il percorso fascismo-resistenza-foibe-esodo ricostruisce questa storia, che ormai dovrebbe diventare storia italiana, slovena e croata, insomma storia europea. Infatti le tragedie del confine orientale partono da molto lontano e arrivano a lambire il nostro tempo».

Emblematico anello di congiuntura tra gli eventi vorticosamente susseguitisi nella regione del confine orientale è stato il campo profughi di via Pradamano, nel cuore di Udine: un centro di prima accoglienza che venne aperto dal 1947 al 1960 all'interno di un edificio progettato nel 1935 come "Collegio Convitto dell'Opera Nazionale Balilla" e che è attualmente la sede della Scuola Media "Enrico Fermi".

A far luce su questo sconosciuto simbolo della storia locale è stato il giornalista Elio Varutti, che nel corso dell'incontro di Codroipo, ha presentato il suo libro "Il campo profughi di via Pradamano e l'associazionismo giuliano dalmata a Udine": un volume di 396 pagine, appena finito di stampare, contenente 56 biografie di esuli istriani, fiumani e dalmati. Per realizzarlo, l'autore ha raccolto negli ultimi anni 103 interviste tra la popolazione dell'esodo e la popolazione del luogo. «Sono cresciuto in quel quartiere -ha precisato il giornalista udinese-, e da bambino giocavo con i figli degli esuli. Le loro vicende sono diventate parte della mia storia personale. Dal 2003 ho contattato gli esuli che erano rimasti a vivere nelle vicinanze e gli abitanti della zona, cominciando a raccogliere informazioni sul "villaggio di ferro" di via Monte Sei Busi (conosciuto come il campo di via Gorizia), ovvero il primo campo profughi udinese, costituito da 40 prefabbricati metallici, una vera e propria bidonville dove oggi sorge, per ironia del destino, il campo rom di Udine».

L'indagine di Elio Varutti si è poi estesa al Centro Smistamento Profughi di via Pradamano, dove transitarono in tutto 6 ondate di esuli, che al loro arrivo venivano rifocillati, aiutati con una prima assistenza e forniti di un cambio di vestiti e scarpe, per poi essere rispediti in uno dei 109 campi di accoglienza predisposti in tutta Italia. Il campo di via Pradamano accolse 100.000 esuli italiani provenienti dalla sponda orientale dell'Adriatico. «Il riscontro più straordinario riguardo a questa ricerca -ha commentato l'autore-, è che finalmente le persone dell'esodo hanno il coraggio di parlare: non si trattengono più. In molti addirittura si stanno facendo avanti dopo la pubblicazione del libro. Finora, invece, provavano vergogna o paura: tra essi infatti c'è chi non ha voluto fornire il proprio nome nelle interviste. Ai nostri giorni, qualcuno di loro continua ancora a ricevere lettere anonime o a subire gesti di intimidazione. Noi friulani li abbiamo accolti, però è stata un'accoglienza ambivalente».

L'atteggiamento di repulsione nei confronti dei profughi, che rispondeva al grido allarmista di "arrivano i fascisti dall'Istria!", era l'incongruente reazione di parte dei friulani al ricordo delle violenze subite quando, nazisti e fascisti della Repubblica Sociale Italiana, nella lotta contro le intraprendenti formazioni partigiane del luogo, effettuarono rastrellamenti, requisizioni e saccheggi, distrussero e incendiarono interi paesi, e compirono eccidi anche tra cittadini inermi. Del resto, le contraddizioni che dividevano lo stesso popolo friulano rendevano ancor più complesso il processo di definizione della propria identità e il rapporto di confronto con i popoli vicini. Per esempio, era friulano Alessandro Pirzio Biroli, il generale d'armata fascista che, una volta nominato governatore del Montenegro, obbedendo a ordini ufficiali, si rese complice in quella regione balcanica di ripetute stragi nei confronti di civili, rientrando così a far parte dei 1.200 generali che la documentazione militare incolpa come criminali di guerra, ma che a tutt'oggi non sono stati giudicati da nessun tribunale.

Illustrando episodi piuttosto oscuri, la mostra "Fascismo, Foibe, Esodo" parte dall'indomani della prima guerra mondiale e narra come gli italiani abbiano forzato la nazionalizzazione nei confronti di sloveni e croati nelle terre acquisite durante il conflitto. Mediante l'incendio nel 1920 dell'Hotel Balkan, che era la sede del più importante centro culturale di lingua slovena a Trieste, la traduzione all'italiano dei cognomi autoctoni, il divieto della lingua slovena e croata, fino alla sospensione delle omelie in sloveno e croato nelle messe celebrate per le minoranze cattoliche. Fu l'inizio della catena di odio e rivalsa tra due popoli confinanti, che culminò con l'orrore delle foibe. Uno dei pannelli si sofferma sull'occupazione della Jugoslavia nel 1941 e l'annessione al Regno d'Italia della Provincia di Lubiana, l'atto di aggressione che fece innescare come fatale contropartita la rivendicazione di Udine da parte del IX Corpus Sloveno, che nel 1945 affidò al comandante veneto Mario Toffanin "Giacca", e alla sua brigata partigiana Garibaldi-Natisone, l'uccisione a Porzus dei partigiani friulani di Osoppo, considerati spie e rei di non condividere il progetto di annessione del Friuli e del Veneto Orientale alla Jugoslavia di Tito.

«Questo drammatico confine -ha approfondito il professor Enrico Folisi-, friulani e sloveni credono ad un certo punto di poterlo risolvere da soli, mentre sono in realtà i vertici internazionali a decidere dove deve cadere la linea di spartizione, e alla fine la questione si chiude nel '54, con solo Trieste italiana». Alcuni cortometraggi proiettati come introduzione alla mostra, provenienti dagli archivi dell'Istituto Luce, dell'Incom e di privati, riprendono quel "nuovo confine" del dopoguerra, tracciato con strisce di vernice bianca che attraversano i campi, i binari, le vie dei paesi e i cortili delle case; i posti di frontiera spostati, e indicati da cartelli appesi con chiodi e martello dai militari americani; i fili spinati tesi come delimitazione tra Italia e Jugoslavia, mentre la vita quotidiana della gente continua in immagini tra il surreale e l'assurdo: una bambina si dondola nell'aria, avanti e indietro tra i due stati, sull'altalena fissata a un albero che affonda le sue radici proprio lungo il confine.

Nei discendenti di quei friulani, la visione di immagini come queste risalta il contrasto stridente con la realtà dell'odierna Europa: lo smantellamento delle dogane, l'ingresso della Slovenia nell'area Schengen, l'avvio da parte del Friuli Venezia Giulia di progetti di cooperazione economica con l'est, la costituzione dell'Euroregione Adriatica e la totale abolizione delle barriere, che essi stanno per vivere da protagonisti assieme ai loro coetanei sloveni e croati.

Indirizzo web della mostra "Fascismo, Foibe, Esodo - La tragedia del confine orientale"


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