A Gorizia si indaga da tempo su quale sia la materia di cui son fatti i confini. Trent'anni di Kinoatelje nella prefazione al libro di Moreno Zago Confini di celluloide

02/02/2008 -  Anonymous User

Di Aleš Doktorič, presidente del Kinoatelje

Il tema del confine è uno dei grandi temi di ogni tempo che ha pervaso la coscienza di tutti. Ormai siamo tutti uomini di frontiera; il mondo è diventato frontiera esso stesso perché non c'è più nessun luogo ove non ci sia un confine da superare o da difendere, da cancellare o da ridisegnare. Le questioni di frontiera non sono più relegate e delegate ai confini di uno stato; la frontiera ha guadagnato anche i territori centrali pur non essendo ancora compresa dalle loro popolazioni, spesso poco avvezze a fenomeni di ibridazione culturale. Ma come i confini sono multiformi, pluridimensionali, mutabili e immutabili al contempo, laddove c'è un confine, c'è anche un valico e, soprattutto, c'è una comunicazione. Quest'opportunità è diventata il programma per tutto il lavoro di promozione e produzione culturale del Kinoatelje.

Ho conosciuto Moreno Zago nell'estate 2006 a Tarvisio, in occasione di una Scuola estiva organizzata dall'Università di Trieste; si presentò come docente di Sociologia del confine. Conosceva già il Kinoatelje, l'attività e le opere di un'associazione che, fondata nel 1977 da un altro sociologo, Darko Bratina, si caratterizzava per l'impegno interculturale, anche o soprattutto quello transfrontaliero, prima soltanto attraverso un'attività di organizzazione e promozione culturali, poi anche con opere editoriali e produzioni audiovisive.

Pubblicare il libro Confini di celluloide è perciò l'ultimo passo di un'azione già intrapresa, ma è d'altro canto anche un'accelerazione imprevista, una sovrastrutturazione di quelle numerose attività che il Kinoatelje ha svolto giorno dopo giorno, anche in tempi in cui l'attuale apertura dei confini sulla linea della Cortina di ferro non era reale nemmeno come ipotesi, come del resto non era pensabile nemmeno una Slovenia indipendente e membro dell'Unione europea.

Il Kinoatelje, co-organizzatore nel 1981 a Gorizia della prima retrospettiva del cinema sloveno, Slovenski film 1946-1981 Cinema sloveno e promotore, dal 1986, del Film Video Monitor, rassegna di cinema, tv e video sloveni, inizia il suo percorso editoriale con i cataloghi della rassegna goriziana. È il catalogo arricchito della X edizione, nel 1995, ad essere l'occasione per un discorso più articolato sul cinema d'oltreconfine. Il cinema delle cinque Slovenie / Film petih Slovenij, a cura di Aleš Doktorič e Nadja Velušček, è, infatti, una presentazione bilingue delle fasi storiche e delle filiazioni geografiche di una piccola cinematografia.
Segue, nel 1997, anno della scomparsa del fondatore del Kinoatelje, Perché non aspettiamo l'alba? / Zakaj ne bi počakali jutra? a cura di Igor Devetak, Aleš Doktorič e Nadja Velušček, interamente dedicato agli scritti di cinema di Darko Bratina: critico cinematografico, sociologo, professore universitario e, infine, senatore della Repubblica italiana. La frase che dà il titolo al libro viene citata da un Piero Fassino che ricorda Bratina a Torino quale giovane interlocutore di un'interminabile discussione notturna sul cinema e sulle sue molteplici albe.

La vera alba editoriale sopraggiunge per il Kinoatelje con la pubblicazione di Nostro cine quotidiano (2001) di Sandro Scandolara, giornalista e critico cinematografico. Il libro è una storia sociale delle "diverse Gorizie" attraverso il cinema che assembla e integra la serie di articoli che l'autore aveva pubblicato sulle pagine goriziane del quotidiano Il Piccolo.

Il Kinoatelje stila allora anche un programma d'intenti. L'attività editoriale è chiamata a svolgere una funzione di cerniera tra nazioni e culture, nonché fra molteplici discipline, per fornire il proprio contributo ad una storia del cinema che non si rivolga solo agli specialisti della storia o del cinema.
All'interno della collana nostro cine quotidiano che seguì all'omonimo libro, il Kinoatelje pubblica La mia guerra (2001), un racconto del 1931 di Elio Vittorini in cui lo scrittore immagina se stesso bambino a Gorizia durante la Prima guerra mondiale. Simultaneamente, viene fatta uscire anche un'edizione gemella in sloveno, Moja vojna, in una bellissima prima traduzione di Marko Kravos, poeta e scrittore triestino. Nel 2004, è la volta del saggio La repubblica dei sogni. Paolo Caneppele, storico del cinema, vi profonde le sue ricerche su una personalità artistica mitteleuropea, il pittore e scrittore ebreo polacco Bruno Schulz, e il suo rapporto con il cinema e le arti figurative.

Nel 2005 è la volta di Nora Gregor. L'imperfezione della bellezza, una monografia curata da Igor Devetak sull'attrice nata nel 1901 a Gorizia e qui vissuta fino al 1915. Stella del Burgtheater di Vienna e protagonista, nel 1939, della Règle du jeu di Jean Renoir, viene riscoperta dal Kinoatelje quasi per caso alla fine degli anni Novanta. Il progetto Nora Gregor, che non si limita soltanto alla pubblicazione del libro, rispecchia bene quella che è stata finora la filosofia dell'approccio interculturale del Kinoatelje. In questo caso, un'associazione slovena in Italia pubblica, in italiano, un libro su un'attrice di cinema e di teatro austriaca, nata nella Görz multiculturale e che ha conosciuto ripetutamente la via dell'esilio.

Il titolo che Moreno Zago ha scelto per il suo libro, Confini di celluloide, potrebbe far intendere, attraverso un tenue ossimoro, che i confini si possono superare, proprio perché sono di celluloide, perché sono fatti, cioè, di una materia che, per dirla con Pasolini, è fragile come sono fragili le ali di una farfalla . Tuttavia, la "registrazione del reale", come il lettore scoprirà dalle pagine del libro, ci dà un'immagine della realtà tutta diversa, con buona pace di quelli che, come noi, nutrono di questi tempi un legittimo entusiasmo per il lento processo verso un'Europa senza discontinuità.

Il libro penetra il territorio complesso dei confini nel mondo, e non solo di quelli politici fra stato e stato, servendosi delle narrazioni e delle testimonianze che il racconto per immagini ne ha fatto, e su questa base sviluppa un proprio discorso di analisi della società. Un'analisi che si nutre della penetrazione visuale del reale per ricercare e formulare spiegazioni dell'accadere. Una sociologia dei confini che ha il suo punto di forza proprio nel servirsi di narrazioni audiovisive, citate anche nel libro in frammenti di dialogo, molto più coinvolgenti di tante esposizioni scientifiche, statistiche o quantitative, in genere.

Che il cinema e l'audiovisivo fossero strumenti privilegiati per comprendere una società lo credeva fermamente anche Darko Bratina che il Kinoatelje ricorda ogni anno con un premio. Il Premio Darko Bratina. Omaggio a una visione è indirizzato a opere o autori che ai pregi estetici aggiungono una particolare attenzione all'ambiente storico e sociale e possiedono una vocazione specifica alla comunicazione interculturale.

In Confini di celluloide, l'alternare citazioni di testo filmico e analisi sociologica non può che produrre un libro avvincente che ha poco del manuale accademico, perché procede per temi e problemi e non per nozioni. Ma c'è anche un'altra ragione. Il confine è, infatti, intimamente legato al confronto di posizioni che spesso sfocia nel conflitto, e il conflitto è la leva di ogni buona storia cinematografica. Ogni arte drammatica si basa, infatti, sul conflitto tra (almeno) due parti. La tensione creata in questo modo è la madre dell'attenzione, dell'interesse dello spettatore. Letto il libro, sarà soprattutto uno spettatore-lettore non informato a nutrire un sentimento di gratitudine nei confronti dell'autore perché il suo testo è sintesi, e nel contempo anche analisi, della smisurata produzione audiovisiva sul tema del confine che crea divisioni, separazioni, ma anche intrecci, confluenze e nuove formulazioni del (con)vivere sociale.

La pubblicazione del libro Confini di celluloide si iscrive nella parte conclusiva di un progetto europeo transfrontaliero, un Interreg Italia-Slovenia dal titolo go&go Centro audiovisivi Servizi interculturali, che il Kinoatelje sta portando avanti dal 2005. go&go sta a significare il suo focalizzarsi su due città di confine, Gorizia e Nova Gorica, che dovrebbero trovare tempi adeguati e modi efficaci per un'utile integrazione; Centro audiovisivi e Servizi interculturali significa, invece, il potenziamento e l'evoluzione di un'attività divenuta ormai istituzionale. In un'intervista al quotidiano goriziano Primorski dnevnik, nel giugno del 1977, esattamente trent'anni fa, Darko Bratina affermò che il Kinoatelje «dallo studio del cinema vuole pervenire anche alla sua produzione». E infatti, soprattutto negli ultimi dieci anni, l'attività culturale del Kinoatelje è stata affiancata in modo significativo da una produzione audiovisiva.

Dopo una prima incursione nel campo documentario sul tema del confine con Zamejci (Sloveni in Italia, 1989) di Andrej Mlakar, con testo scritto da Darko Bratina, e Sejem pripadnosti / La fiera delle identità (1992), una docufiction di Daniel Jarc su Gorizia, città di conflittuali appartenenze, la produzione audiovisiva del Kinoatelje ricomincia con forza con i documentari della coppia di autrici Nadja Velušček e Anja Medved. Il film Niso letele ptice / Non volavano uccelli (1999) è un ricordo di una Gorizia multiculturale, sfollata dalla Grande guerra. Moja meja / Il mio confine (2002), una storia personale nel contesto di un evento epocale quale fu l'erezione di una Cortina di ferro anche a Gorizia, dà invece inizio a un filone forte, annotato nel suo libro anche da Moreno Zago. Sono quasi dei sequel Mesto na travniku (La città sul prato, 2004), rivelazione di una città nuova qual è Nova Gorica, e Sešivalnica spomina / Ricuciture di memorie (2006), punto di approdo per una visione aerea del confine che si dilegua nella storia.

La produzione del Kinoatelje su questi temi conta anche altri apporti: Dario Frandolič dirige Beautiful Kreplje (2000), un dramma tv su una coppia interculturale; Matteo Oleotto realizza un cortometraggio a soggetto sui passaggi clandestini del confine, Passeranno anche stanotte (2002); Boris Palčič è il regista di ET(h)NOS Anche noi Tudi mi (2004) in cui Fulvio Tomizza e Darko Bratina dialogano a distanza su confini e convivenza e prefigurano la realizzazione di quello spazio aperto che sta costruendosi con l'entrata della Slovenia e degli altri paesi dell'Europa orientale nell'Unione europea. Appare chiaro, quindi, che le opere editoriali e la produzione del Kinoatelje sono portatrici di una riflessione di fondo: soprattutto nelle aree di confine come la nostra, non abitiamo più "terre contese", ma dobbiamo tuttavia lavorare ancora per costruire "luoghi condivisi". Proprio queste tematiche sono state oggetto, nel maggio 2007, di un convegno internazionale nell'ambito del citato progetto go&go.

Anche a seguito di quanto già espresso in quella sede, una lettura attenta, peraltro molto piacevole, del libro Confini di celluloide, testimone di una molteplice e sfaccettata registrazione del reale, ci permette di capire quali sono gli scogli e i muri di gomma contro i quali s'infrangono ogni facile apriorismo ed ogni superficiale pretesa di cancellazione di confini che hanno, nonostante tutto, un loro nucleo funzionale che li preserva dall'estinzione.

Conoscere, penetrare, assimilare le dimensioni di questo nucleo funzionale ci può tutelare dagli effetti deleteri che rendono i confini incomprensibili, irrazionali e inaccettabili.

CONFINI DI CELLULOIDE
di Moreno Zago, prefazione di Aleš Doktorič.
Kinoatelje, 2007


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