1 aprile 2008

Il ministro degli Esteri Massimo D'Alema, in un recente incontro svoltosi a Roma, si è espresso a tutto campo in merito alle politiche di cooperazione allo sviluppo. Necessario un nuovo disegno, dai tratti netti

Fonte: Il Velino

Bisogna migliorare l'efficienza degli investimenti pubblici spesi a favore della cooperazione allo sviluppo. Così il ministro degli Esteri, Massimo D'Alema, ha affrontato il tema dell'Aiuto pubblico allo sviluppo, durante la tavola rotonda organizzata dalla Luiss lo scorso 26 marzo a Roma dal titolo: "Italia internazionale: fare sistema per competere".

La cooperazione, ha spiegato D'Alema, "è uno strumento fondamentale della politica estera italiana che purtroppo disperde in mille rivoli le proprie risorse con il risultato che ogni 100 euro spesi a favore di poveri del mondo, solo 16 arrivano nella mani di questi poveri". Dati analoghi per gli investimenti a favore della promozione dell'Italia all'estero, un capitolo che per il ministro degli Esteri ha bisogno di migliorare nettamente la propria efficienza. I temi della qualità dell'aiuto sono stati approfonditi dal rapporto presentato dal Gruppo di riflessione strategica della Farnesina, presieduto da Marta Dassù, che delinea le priorità della politica estera italiana da qui al 2020 nel tentativo di prospettare una politica internazionale coerente a prescindere dal colore dei governi che si susseguono. Per quanto riguarda la cooperazione allo sviluppo, il rapporto del Gruppo di riflessione strategica va ben oltre la questione degli sprechi e auspica numerosi interventi per migliorare l'efficienza degli aiuti ai paesi poveri sia da parte dell'Italia che della comunità internazionale.

Nei capitoli che riguardano la riforma delle organizzazioni internazionali, il documento auspica "un rafforzamento del potere di voto dei paesi in via di sviluppo e delle economie emergenti" all'interno del Fondo monetario internazionale. Un ruolo cruciale viene poi attribuito alla Banca mondiale. La quale, recita il rapporto, "dovrebbe assumere, insieme al G8, un ruolo centrale nella formulazione delle strategie relative allo sviluppo di "beni pubblici globali": l'ambiente, la lotta alle grandi pandemie, la riduzione della povertà, la ricerca e sviluppo di nuove tecnologie di cui le economie dei paesi poveri possano beneficiare. Nella fase attuale, il portafoglio di attività della Banca - centrato sui prestiti a paesi membri - sta perdendo rilevanza strategica, dal momento che i paesi a medio reddito hanno sempre maggiore accesso ai mercati finanziari internazionali mentre quelli a più basso reddito possono contare su maggiori aiuti, anche privati. La Banca dovrebbe piuttosto rafforzare il suo impegno nei paesi 'fragili' (circa una quarantina, prevalentemente localizzati nell'Africa subsahariana)".

Per quanto riguarda il ruolo del nostro Paese - prosegue il documento - "l'Italia continuerà anche ad appoggiare la ricostituzione dei fondi dell'IDA (l'International Development Association, ndr) in base al principio che gli aiuti multilaterali siano potenzialmente più efficaci. Sul piano bilaterale, l'Italia intende rafforzare la propria politica di cooperazione verso l'Africa subsahariana, garantendo d'altra parte continuità negli impegni con l'America latina e senza escludere paesi nei quali l'Italia ha una delicata esposizione politica (Afghanistan, Libano e più in generale l'area mediorientale). A tale fine, e perché l'Italia si avvicini agli impegni assunti in sede Ue, sarà indispensabile adeguare le risorse finanziarie disponibili - consolidando il trend avviato con la Legge finanziaria per il 2007 - che ha pressoché raddoppiato i fondi per la cooperazione allo sviluppo".

Ricordando gli Obiettivi di sviluppo del millennio, che indicano la volontà di dimezzare progressivamente la povertà, il documento del Gruppo di riflessione strategica ribadisce la necessità di aumentare le risorse destinate alla Cooperazione: "Gli impegni finanziari europei prevedono che l'Aiuto pubblico allo sviluppo (Aps) dei paesi dell'Ue raggiunga lo 0,33 per cento del Pil entro il 2006, lo 0,51 per cento nel 2010 e lo 0,70 nel 2015. In realtà, e nonostante gli aumenti del 2007, l'Aps relativo dell'Italia resta ancora assai inferiore a questa evoluzione prospettata, collocandosi al di sotto della media europea. Per l'Italia, quindi, si tratta di colmare un ritardo rilevante in termini finanziari. E ciò in un quadro di forti vincoli di bilancio. Da una parte, dovranno essere compiuti sforzi ulteriori per rispettare gli impegni presi e la propria credibilità come paese donatore. Un aumento dei Fondi renderebbe tanto più indispensabili la riforma della gestione dell'Aps (da anni indicata all'Italia quale priorità dal Dac dell'Ocse) e un rafforzamento delle sue strutture tecniche.

Una scelta aggiuntiva è quella di insistere su un sistema di valutazione della cooperazione internazionale che dia priorità non solo agli impegni finanziari nazionali ma anche all'efficacia complessiva e al coordinamento degli aiuti (coerenza). L'Italia deciderebbe di conseguenza di destinare ai canali multilaterali gran parte dei propri aiuti (accentuando una tendenza già in atto). Per l'Italia il problema diventerebbe quello di rafforzare la propria capacità di 'gestire' i contributi nazionali alle istituzioni multilaterali". Un altro punto su cui si concentra il testo è la necessità di istituzionalizzare al ministero degli Esteri la presenza di "un responsabile politico per la cooperazione, che avrà tra l'altro il compito di raccordare le iniziative dei diversi attori italiani (regioni, attori non governativi, imprese)".

Infine, un problema da superare - non solo per quanto concerne la cooperazione allo sviluppo - è il fatto che "l'Italia è oggi sottorappresentata negli organismi internazionali: non tanto ai vertici, ma nelle posizioni intermedie. Ad alcuni incarichi di primo piano non corrisponde, infatti, una presenza diffusa di funzionari internazionali neanche nelle istituzioni che consideriamo più rilevanti (Ue, Nato, Onu). Per migliorare la politica delle candidature internazionali, è indispensabile una migliore programmazione, con un approccio alle candidature che parta intanto dalla formazione del candidato, anziché dal posto. Si tratta quindi, anzitutto, di formare un bacino di funzionari per le candidature internazionali e di individuare le modalità più efficaci per fare incontrare la domanda e l'offerta. E si tratta, parallelamente, di avere una strategia nazionale per la promozione di posizioni italiane nelle carriere internazionali, inclusa la promozione di meccanismi che favoriscano il distacco temporaneo di funzionari delle amministrazioni nazionali ed il loro reinserimento al termine del mandato".

Attenzione a questo tema, negli ultimi due anni, è stata sollecitata a più riprese dal viceministro degli Esteri con deleghe su Cooperazione e Africa subsahariana, Patrizia Sentinelli, la quale ha sottolineato quanto sia centrale la presenza di nostri rappresentanti all'interno dei board delle maggiori organizzazioni internazionali che si occupano di tematiche dello sviluppo. (Giampiero de Andreis)