Luka Zanoni ita eng bhs

Luka Zanoni  - giornalista e direttore responsabile della testata giornalistica

Specializzazione post laurea in Discipline storiche e filosofiche presso l'Università Bocconi dopo la laurea in Filosofia teoretica presso l'Università Statale di Milano. Tra il 1999 e il 2005 è stato redattore e traduttore della testata online  Notizie Est-Balcani e dal 2002 al 2003 è stato redattore del mensile Balcani economia. Giornalista professionista, parla correntemente il serbo-croato. Lavora per Osservatorio dal 2001.


Articoli di Luka Zanoni

Il Kosovo si prepara alle elezioni

18/10/2001 -  Luka Zanoni

Tra mille polemiche, rifiuti di partecipare alle elezioni e scontri tra le diverse fazioni politiche in campo, tra un mese circa il Kosovo affronterà la prima tornata elettorale parlamentare del dopo guerra. Le elezioni sono state fissate per il 17 di novembre e da queste verrà eletto un parlamento con 120 rappresentanti, dei quali, dieci spetteranno di diritto alla minoranza serba ed altri dieci alle altre minoranze che compongono la regione. Per i 120 posti nel futuro parlamento si calcolano 26 tra partiti, associazioni e coalizioni>. Il futuro del Kosovo rimane comunque nelle mani dell'amministrazione internazionale e nella fattispecie nelle mani di Hans Haekkerup.

I serbi kosovari alle elezioni

Una massiccia campagna di informazione riguardante la registrazione dei cittadini di nazionalità serba era iniziata questa estate, dopo che i politici di Belgrado si sono accordati con i rappresentati della comunità internazionale. Numerosi ed enormi cartelloni pubblicitari comparivano nelle vie di Belgrado, così come sull'intera facciata delle pagine centrali dei quotidiani. Una cartina del Kosovo ed in sovrimpressione una mano con l'indice puntato, in alto una scritta riportava: "pokazi sta je tvoj, da vidimo koliko nas ima" (mostra ciò che è tuo, per dimostrare quanti siamo).
Cosicché la registrazione dei serbi del Kosovo, dopo le incertezze iniziali e dopo gli inviti di Kostunica e la stessa registrazione del Patriarca Pavle, ha richiamato un largo numero di cittadini. In totale si parla di 178.296 serbi ufficialmente registrati (dato pubblicato dal quotidiano Danas, 6-7 ottobre 2001) riuniti nell'unica coalizione di partiti serbi dell'Iniziativa civile "Povratak" (il ritorno), che ancora non ha fornito la lista dei candidati (il termine di presentazione è stato prorogato al 25 ottobre). Secondo quanto affermato da Nebojsa Covic, presidente del Centro di coordinamento per il Kosovo e Metohija, "È stato dimostrato che i serbi presenti in Kosovo sono circa il 15% della popolazione e non il 3,5% come qualcuno voleva insinuare, ma addirittura se si fossero registrati tutti quanti i serbi presenti - aggiunge Covic - si sarebbe raggiunto almeno il 18,5% della popolazione complessiva" (Danas, 8-10-2001).
Tuttavia la partecipazione della componente serba alle prossime elezioni è ancora oggetto di dibattito. La seduta della presidenza della DOS fissata per martedì 16 ottobre è stata fatta slittare al martedì successivo (cfr. Beta, B92, 16-10-2001), pertanto l'effettiva partecipazione alle elezioni da parte della componente serba, rimane per il momento in sospeso. Le indecisioni legate alla partecipazione alle urne sono un tasto ancora delicato che divide i partiti politici sia in Serbia che in Kosovo. Esiste infatti una corrente dei serbi kosovari, guidata da Rada Trajkovic, rappresentate del Kosovo centrale e vice presidentessa del Partito Democristiano, che propende per un dialogo aperto con l'amministrazione internazionale e con gli albanesi. Mentre esiste una corrente, guidata da Marko Jaksic, rappresentate del Kosovo settentrionale (Kosovska Mitrovica) e vice presidente del DSS (partito di Kostunica), che è più incline a non presentarsi alle elezioni del prossimo novembre, con la motivazione che andando alle elezioni si legittimerebbe il potere degli albanesi e si perderebbe definitivamente il Kosovo, anche se la risoluzione 1244 dell'ONU di fatto non prevede l'indipendenza della regione.
In un interessante dibattito tra i due pubblicato dal settimanale Danas Vikend (6-7 ottobre 2001) si leggono bene i differenti punti di vista. Da un alto, la Trajkovic teme che la non presenza alle urne possa di fatto comportare la separazione del Kosovo, abbandonando quindi le enclavi serbe del Kosovo centrale al proprio destino, ossia sganciate dal nord della regione, e lasciate senza rappresentanza in parlamento perché appunto non riconosciuto. Dall'altro, il non riconoscimento del prossimo assetto politico-parlamentare del Kosovo è sostenuto da Jaksic, che preferirebbe non presentarsi alle elezioni per non, come più volte ha affermato, consegnare il paese agli albanesi. Perché di fatto ci sarà un presidente albanese e l'esecutivo sarà formato da una maggioranza o quasi di albanesi.
Ma aldilà di queste ultime sottolineature che hanno il netto sapore del nazionalismo, l'effettività del non riconoscimento del nuovo parlamento potrebbe veramente condurre, e non solo in termini politici, alla spaccatura del paese in due entità: l'una con un parlamento dove i serbi non sono rappresentati e dove ciononostante vi abitano, e l'altra che farebbe capo al governo centrale, o forse sarebbe meglio dire della Serbia.
L'ipotesi delle due entità è stata sostenuta recentemente proprio da Marko Jaksic, il quale considera che i serbi del Kosovo settentrionale hanno un proprio piano che abbraccia l'ipotesi delle due entità al posto di una ipotetica cantonalizzazione. Quest'ultima è stata invece avanzata da Momcilo Trajkovic, presidente del Comitato federale per il Kosovo e leader del Movimento di resistenza serbo (SPOT). In un documento dove si presenta la cantonalizzazione della regione, e che è stato presentato alla presidenza della DOS, si specifica che il Kosovo potrebbe essere diviso in cinque regioni, ovvero: centrale, settentrionale, la regione della Morava, della Sar Planina e della Metohija. Secondo Trajkovic questo programma non è per nulla un'artificiale multietnicità, né un parallelismo, ma bensì la coesistenza e la possibilità offerta alla comunità internazionale, così come ai serbi del Kosovo e agli albanesi e allo stato, per fermare le persecuzioni dei serbi e della popolazione non albanese (Danas Vikend, 6-7 ottobre 2001).

Cosa dice la comunità internazionale

Quest'ultima nelle espressioni di alcuni dei suoi rappresentati, quali Owen Masters, capo della missione osservatrice del Consiglio europeo per le elezioni in Kosovo, oppure l'ambasciatore americano in FRJ, William Montgomery, continua a rassicurare i vari partiti politici che il Kosovo rimarrà parte della Federazione di Jugoslavia così come sancito dalla risoluzione dell'ONU. In particolare l'ambasciatore americano durante un'intervista per il primo programma di Radio Beograd ha insistito sulla partecipazione dei serbi alle elezioni, dichiarando che "i serbi del Kosovo devono votare nel maggior numero possibile, in modo di assicurare ai propri rappresenti di avere ancora a disposizione tutte le possibilità politiche". Riguardo la situazione in Kosovo Montgomery ha ribadito che "gli estremisti di entrambe le parti impediscono completamente ogni sforzo nella creazione di una società multietnica, per questo credo che sia necessario moltiplicare gli sforzi per combattere gli estremismi". Montgomery ha infine aggiunto che i serbi "commetteranno un grosso errore se diranno che non voteranno a causa della mancanza di condizioni", necessarie alla loro presenza alle urne (Danas, 15-10-2001).
Anche il capo missione dell'unione Europea per le elezioni in Kosovo, Owen Masters, ha dichiarato in un'intervista al quotidiano Politika che i serbi non avranno nulla da perdere dalle elezioni, anzi avranno solo da guadagnare e che l'indipendenza voluta e sostenuta dai partiti albanesi fa solo parte di una propaganda preeletorale, dal momento che non avrebbero così tanti voti se non si dichiarassero per l'indipendenza del Kosovo, ma ciò è contrario alla risoluzione 1244. Masters dichiara di comprendere pienamente la difficile situazione dei serbi del Kosovo, "capisco la loro preoccupazione. Già dal luglio 1999 visito le comunità serbe del Kosovo e so in quali pericoli si imbattono. Benché riconosciamo che la loro vita non sia sicura, crediamo che sia molto importante la loro partecipazione alle elezioni e i luoghi delle elezioni saranno organizzati in modo che la loro partecipazione (o la loro votazione tramite posta) saranno completamente al sicuro. Ai serbi sono stati garantiti dieci posti nel futuro parlamento e in caso in cui tutti i 175.000 serbi registrati andranno alle elezioni, potranno ottenere altri quindici e forse altri venti posti in questo parlamento" (Politika, 15-10-2001).

I cittadini di altre nazionalità (ovvero non serbi e non albanesi)

Come è noto in Kosovo sono presenti altre minoranze che non sono né serbe né albanesi, si tratta in maggiornaza di Bosgnacchi, Turchi, Gorani, Rom e Askalija. I Bosgnacchi si sono dichiarati in due partititi, che sono rappresentati da Hilmija Kadic e Numan Balic, mentre in un solo partito si sono raggruppati i Turchi, i Rom e gli Askalija. Le differenze di vedute sono presenti anche in questi piccoli partiti. Infatti non dello stesso parere sono i due partiti bosgnacchi, l'"Azione democratica dei bosgnacchi del Kosovo", guidata da Numan Balic che propende per l'indipendenza della regione e il "Partito dei Bosgnacchi", di Hilmija Kadic, che invece è in disaccordo con la linea politica di Balic e l'indipendenza del Kosovo. Questo è infatti uno dei motivi per cui i bosgnacchi non si sono presentati insieme in un'unica coalizione. Il partito di Kadic insiste sul ritorno dei bosgnacchi che sono stati scacciati e sulla ricostruzione delle loro abitazioni. Kadic si impegna inoltre per una formazione scolastica esclusivamente nella lingua madre. Sebbene i turchi abbiano dichiarato il loro partito alle elezioni sotto il nome di "Partito democratico dei turchi kosovari", sembra che tuttavia siano propensi a boicottare le elezioni (cfr. Politika, 16-10-2001).

La struttura politica del Kosovo dopo il 17 novembre

Dopo il 17 novembre il Kosovo, come sancito dalla Cornice costituzionale per l'autogoverno provvisorio del Kosovo, avrà un parlamento, un presidente, un premier e nove ministeri. I nove ministeri saranno: il Ministero dell'economia e delle finanze, il Ministero del commercio e dell'industria, della cultura, della gioventù e dello sport, il Ministero dell'educazione, della scienza e della tecnologia, il Ministero del lavoro e della protezione sociale, il Ministero della sanità, della difesa dell'ambiente e della pianificazione territoriale, il Ministero dei trasporti e delle comunicazioni, il Ministero degli affari pubblici, il Ministero dell'agricoltura, delle foreste e dello sviluppo rurale. Come si può notare da questo elenco, rimangono fuori da questi ministeri, ovvero rimangono di gestione dell'UNMIK, l'ordine e la legge, la politica estera e la difesa. Tuttora il Kosovo è amministrato dall'UNMIK e dal suo capo missione Hans Haekkerup, e fino al 3 ottobre, data di inizio della campagna preelettorale, esisteva il Consiglio di Transizione del Kosovo e il Consiglio di Amministrazione di cui facevano parte i rappresentanti serbi e albanesi. Ma questi organi voluti dalla comunità internazionale e dove vi partecipano i rappresentati delle varie comunità che compongono il Kosovo, non sembra che finora abbiano prodotto nulla di più di liti interne, utilizzando quindi le riunioni settimanali per esporre le personali frustrazioni (AIM, 9 -10-2001, la versione in italiano è disponibile sul sito di Notizie Est). Attualmente vi sono 20 dipartimenti che regolano le attività amministrative della regione, ma dopo le elezioni verranno ridotti ai soli nove ministeri summenzionati. Gli ufficiali della missione Onu in Kosovo hanno motivato questa riduzione dicendo che serve a razionalizzare i ministeri. Mentre le funzioni dei nuovi organi così come i loro limiti e le loro competenze sono stati decisi dal capo missione dell'ONU, Haekkerup, nell'ultimo Decreto.

Il vero vincitore delle elezioni: Hans Haekkerup

Come commenta, Rahman Pacarizi, per l'AIM di Pristina>, "non è difficile concludere che il vincitore delle elezioni sarà Hans Haekkerup, mentre i partiti che avranno il maggior numero di voti rimarranno in effetti 'partner' dell'ampia coalizione di governo, con Haekkerup che manterrà la chiave amministrativa: la difesa e l'ordine, la giustizia e la politica estera. Nelle sue competenze rimarranno anche la politica fiscale, la riscossione delle imposte e la nomina dei giudici e dei magistrati" (AIM, cit.).
In sostanza il capo della missione civile in Kosovo potrà: annullare qualsiasi decisione che non sia in accordo con i documenti approvati, risolvere la crisi parlamentare sciogliendo il parlamento, destituire il presidente del Kosovo o il suo premier. "Per fare un semplice confronto, - sottolinea il giornalista di AIM - l'autorità dell'amministratore del Kosovo può essere commisurata come minimo ai due terzi del parlamento del Kosovo che sono necessari per eleggere coloro che sono incaricati delle funzioni di cui sopra. Di conseguenza, l'amministrazione internazionale del Kosovo, con queste elezioni e con la creazione di organi centrali del potere, si spoglierà in una certa misura della responsabilità di alcune funzioni esecutive che non sono poi molto importanti per una decisione politica dei cittadini del Kosovo riguardo allo status finale di quest'ultimo" (AIM, cit.).
Da notare è inoltre che "nell'ambito delle strutture di governo funzioneranno anche alcune cosiddette agenzie esecutive, come l'Autorità per l'emissione di decreti nel campo della farmaceutica, l'Ufficio per la statistica, l'Ente del catasto, nonché tutta una serie di altre agenzie simili, che verranno create ex novo e saranno dirette da rappresentanti internazionali" (AIM, cit.).
Ci si renderà conto quindi che il Kosovo lungi dal godere di una situazione chiara e definita, rimane, come ben si evince dalle pressioni della comunità internazionale sui kosovari serbi, ma soprattutto dal potere effettivo nelle mani della stessa, un grande protettorato internazionale con la parvenza di un assetto parlamentare democratico sul quale è immaginabile che verranno scaricate le difficoltà concernenti la convivenza multietnica e l'implementazione di una pace che, ad oltre due anni dalla guerra umanitaria, ancora sembra un miraggio.

Vedi anche:

UNMIK

Notizie Est

ICS Italia

AIM Pristina

RFY: 5 ottobre, un anno dopo

05/10/2001 -  Luka Zanoni

La Serbia ad un anno dalla caduta del regime di Slobodan Milošević. La situazione economica, la politica del nuovo corso e lo shock della transizione. Nostra analisi

Montenegro: aggiornamenti sul caso 'Nacional'

27/09/2001 -  Luka Zanoni

L'ex partner del controverso businessman Stanko Subotic Cane, Srecko Kestner, ha informato il settimanale croato "Nacional" di essere pronto ad aiutare la commissione parlamentare montenegrina incaricata di far luce su quanto "Nacional" aveva scritto nel maggio di quest'anno. Ci si ricorderà che il settimanale di Zagabria aveva in un lungo articolo (seguito poi da una serie di altri articoli e da un'intervista di venti pagine rilasciata dallo stesso Kestner) spiegato le relazioni tra il presidente del Montenegro Milo Djukanovic e la mafia balcanica impegnata nel traffico di sigarette. Secondo quanto affermato da Srecko Kestner, "Djukanovic è ancora il principale protettore politico del contrabbando di sigarette" che si effettua con i camion della ditta "Zetatrans". Secondo le parole di Kestner il denaro guadagnato con il contrabbando del tabacco si "lava" tramite la Banca di Credito o la banca Atlas di Podgorica, che sono "di proprietà di Milo e di Aco (fratello del presidente. N.d.T.) Djukanovic e di alcuni loro partner". Kestner non solo ha dichiarato di essere stato testimone alla consegna di una borsa piena di denaro portata nel gabinetto di Djukanovic, quando era primo ministro, dal defunto Vanja Bokan, ma ha aggiunto inoltre che la scorsa settimana ha ricevuto una lettera dal gabinetto del consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Djukanovic, Vukasin Maras, nella quale è stato avvertito che con le sue dichiarazioni a Nacional "ha offeso molte persone in Montenegro" e che egli "si deve preoccupare per la propria sicurezza".
La commissione, composta da più partiti politici, si è già riunita diverse volte senza tuttavia ottenere alcun risultato, tranne l'aver constatato che della lista di nomi che la commissione ha invitato alla collaborazione nessuno si è fatto sentire, mentre altri hanno fornito informazioni insufficienti. Il presidente della commissione parlamentare Vuksan Simonovic ha infatti dichiarato che suddetta commissione ha già esplicitamente invitato Kestner, ma egli non ha risposto. Oggi Kestner dichiara di essere pronto a testimoniare se sarà interrogato in Svizzera, dove principalmente vive, oppure in Croazia, ed è anche pronto a dire tutto davanti al tribunale, mentre non ha alcuna intenzione di rilasciare dichiarazioni o prove, di quanto ha precedentemente affermato per Nacional, al MUP (Ministero dell'Interno) montenegrino perché è "sotto l'assoluto controllo di Djukanovic". Simonovic ha aggiunto allora che durante la quarta commissione proporrà che si possa fare anche questo sforzo anche che se Kestner non risponderà per iscritto riguardo le accuse contenute in Nacional, e poi proporrà che un gruppo vada da lui per parlare prescindendo dal fatto che si trovi in Svizzera o a Zagabria. La prossima seduta della commissione parlamentare proseguirà il 16 ottobre.

Montenegro: la commissione per il referendum e le pressioni occidentali

25/09/2001 -  Luka Zanoni

La tensione politica in Montenegro sembra sempre più alta. La scorsa settimana la delegazione montenegrina non si è presentata al cospetto di Kostunica, facendo così saltare l'incontro previsto e organizzato dallo stesso presidente federale, con l'intento di definire i rapporti tra la Serbia e il Montenegro. Kostunica indispettito ha inviato ieri una lettera a Djukanovic, Vujanovic, Djindjic e Pesic nella quale rivolgendosi ai funzionari montenegrini scrive: "sembra che abbiano deciso di chiudere gli occhi di fronte alla realtà e di prendere una strada più tortuosa, difficile e incomparabilmente più costosa, ovvero la via del referendum" (Vijesti 25-9). Kostunica si riferisce in particolare alla seduta tenutasi ieri al Parlamento montenegrino, durante la quale è stata presa la decisione di formare una commissione per la creazione di una nuova legge sul referendum.
La commissione è stata proposta ed accettata dai partiti che compongono il governo di minoranza: DPS, SDP e LSCG, ossia il partito del presidente Djukanovic, i Socialdemocratici e il Partito Liberale. Insieme a questi si è trovato anche Ferhat Dinosa della DUA (Unione Democratica Albanese), mentre i membri della coalizione "Zajedno za Jugoslaviju" (Insieme per la Jugoslavia), ovvero l'SNP di Predrag Bulatovic, l'NS di Dragan Soc e il Partito Popolare Serbo (SNS), hanno abbandonato la seduta (la coalizione pro-Jugoslavia ritiene infatti primaria la definizione dei rapporti tra le due repubbliche che compongono la Federazione, e crede che solo in un secondo tempo si possa preparare la legge sul referendum e il referendum stesso).
La commissione composta da due rappresentati di tutti i partiti parlamentari avrà il compito, nell'arco di 15 giorni, di preparare e di consegnare al Parlamento la proposta della nuova legge sul referendum. Secondo il portavoce del DPS, Igor Luksic, "più volte gli appartenenti alla coalizione pro-Jugoslavia sono stati invitati alla formazione di tale commissione, purtroppo però i posti loro riservati ieri al parlamento sono rimasti perlopiù vuoti" (Vijesti 25-9).
Invece secondo il vicepresidente del SNP, Zoran Zizic, la decisione di dare il via alla commissione per il referendum, conferma la prova che il DPS non ha intenzione di procedere con il dialogo. Zizic in sintonia con la coalizione "Insieme per la Jugoslavia" ha insistito sulla formazione di un governo di concentrazione, accordo che era stato in parte formulato durante l'incontro tra Bulatovic e Djukanovic a Podgorica nel mese di agosto. La reazione di Zizic è racchiusa in queste parole "formate voi la commissione senza l'opposizione e vedrete cosa vi diranno gli ambasciatori degli Stati Uniti e della Gran Bretagna che arrivano domani a Podgorica" (Vijesti 25-9).
È risaputo infatti che le diplomazie occidentali non hanno mai visto di buon occhio la secessione del Montenegro. Infatti alcune speculazioni riguardanti la visita dell'ambasciatore inglese, Charles Croford, e di quello statunitense William Montgomery, a Podgorica vertono proprio sulla pressione che i due eserciterebbero sul Montenegro al fine di condurlo ad un dialogo con Belgrado.
Croford che si è incontrato ieri con i rappresentati del Partito Liberale e con il presidente del NS, Dragan Soc, mentre l'incontro con il presidente del SNP ha preceduto di poco la seduta parlamentare, ha dichiarato che l'Occidente non ha nulla contro il referendum per l'indipendenza del Montenegro, ma ha sottolineato che la maggioranza a questo referendum deve essere significativa. Secondo le parole dell'ambasciatore inglese: "il mondo non ha creato problemi durante la creazione della Slovenia indipendente perché la maggior parte della popolazione ha voluto l'indipendenza" (B92, 25-9), mentre dopo le ultime elezioni in Montenegro di certo non si può dire la stessa cosa. Infatti le scorse elezioni montenegrine, che in parte hanno funto da banco di prova per determinare il desiderio popolare di indipendenza, hanno dimostrato che gli indipendentisti arrivano a mala pena al 50% dei votanti.
In un'intervista per il quotidiano montenegrino "Dan", Croford ha ripetuto che l'Occidente vede la soluzione degli attuali problemi nella regione in uno stato unitario e ha valutato che è possibile creare un accordo strategico tra il Montenegro e la Serbia. Secondo Croford per la Federazione di Jugoslavia è molto importante che si risolva soprattutto il problema dei debiti esteri, affermando che la lentezza delle riforme crea una certa insicurezza e instabilità politica.

Serbia e Montenegro: un dialogo difficile

20/09/2001 -  Luka Zanoni

Da un episodio recente, sulla base delle opinioni di alcune fonti giornalistiche Luka Zanoni fa il punto sul difficile rapporto tra Serbia e Montenegro.

Montenegro: militari e politici sulla vicenda di Cakor

06/09/2001 -  Luka Zanoni Kotor

Sono giunte anche da ambienti militari reazioni alla vicenda di Cakor, in cui un boscaiolo di 20 anni è rimasto ucciso e il suo compagno gravemente ferito. Il quotidiano montenegrino DAN del 30 agosto scorso ha riportato le dichiarazioni del Generale Maggiore Momcilo Radevic, aiuto comandante della Seconda Armata dell'Esercito jugoslavo. Durante una pubblica assemblea tenutasi nel villaggio di Ubli, Radevic ha dichiarato ai 400 partecipanti che "nei pressi di Plav e Gusinj si combatte contro i terroristi ogni giorno", ma ha anche precisato che l'incidente avvenuto il 24 agosto a Cakor è dovuto ad una rapina e non ha nulla a che vedere con attività terroristiche. Per cui, secondo la dichiarazione di Radevic, nella zona che non viene chiamata frontiera ma bensì "linea amministrativa" tra Kosovo e Montenegro, i casi di incidenti tra l'Esercito Jugoslavo e i cosiddetti terroristi albanesi sarebbero all'ordine del giorno. Radevic però è stato immediatamente smentito l'indomani - 31 agosto - dal portavoce dei Servizi di Informazione del Comando della Seconda Armata dell'Esercito Jugoslavo, il quale ha dichiarato che "non esistono indizi circa la presenza di gruppi terroristici nella zona della linea amministrativa col Kosovo, nei pressi di Plav e Gusinj". Il dibattito rimane comunque aperto, visto anche il rifiuto dei membri del MUP (Ministero degli Interni) a fornire qualsiasi altra informazione ai giornalisti di Vrijeme che hanno scritto della vicenda sul numero uscito il 31 agosto.
La smentita ufficiale del Comando militare viene riportata anche dal quotidiano Dan in un brevissimo articolo del 31 agosto, mentre invece viene dedicato un ampio spazio alla polemica riguardante la possibilità che venga eliminato il punto di controllo - situato a Karaula - alla "frontiera" col Kosovo. La questione pare preoccupare in particolar modo i cittadini della zona, che hanno inscenato una protesta contro lo smantellamento del punto di controllo, perché questo li diminuirebbe il livello di sicurezza dei residenti nell'area circostante esponendoli agli attacchi dei "terroristi". La questione relativa alla presunta poca sicurezza dei punti di frontiera, ha avuto una certa eco anche in ambienti politici. Secondo quanto ha riportato il 30 agosto il quotidiano Danas, il presidente del Montenegro Milo Djukanovic si è incontrato il giorno precedente con il presidente dell'Unione democratica albanese - Fuad Nimani - e col presidente del Partito popolare serbo (SNS) Bozidar Bojovic, Da quanto è stato riportato dal gabinetto del DPS (partito di Djukanovic) i partecipanti all'incontro hanno riconosciuto la necessità di intensificare il dialogo tra tutti i soggetti politici del Montenegro, nell'ottica del mantenimento della stabilità interna e quindi perseguendo accordi multietnici che coinvolga tutta la repubblica montenegrina. Nimani ha voluto anche rispondere alle precedenti dichiarazioni di Dragan Koprivica - portavoce del Partito Socialista Popolare SNP - secondo il quale il Montenegro potrebbe rischiare lo stesso destino della Macedonia, asserendo che "spaventarsi di 42.000 albanesi, quanti sono appunto in Montenegro, è assurdo". Sempre riferendosi a Koprivica, ha inoltre ribadito che dietro ad affermazioni come le sue si cela l'intenzione di creare nella comunità internazionale l'impressione che in Montenegro esiste già una "situazione difficile", e che quindi organizzare il referendum abbia perso di senso.

Montenegrini e albanesi, convivenza a rischio o semplici giochi politici?

04/09/2001 -  Luka Zanoni Kotor

Mentre in Macedonia e' iniziata l'operazione di raccolta delle armi dei guerriglieri albanesi, in Montenegro e' salita la tensione e la paura che questi ultimi possano spostare in questa parte dei Balcani un nuovo conflitto interetnico. Tutti i quotidiani montenegrini, in questi ultimi giorni di agosto, riportano in prima pagina la situazione di alta tensione sviluppatasi dopo l'incidente della scorsa settimana nel nord del paese, presso il villaggio di Cakor, nel comune di Plave. Il villaggio di Cakor, nei pressi di Plav, si trova molto vicino al confine con il Kosovo, a circa una quarantina di chilometri da Pec.
Il 24 agosto un gruppo di lavoratori stagionali dei servizi forestali, originari della Bosnia, e' stato attaccato da tre uomini vestiti di nero e col capo coperto da un cappuccio. Come confermano i testimoni oculari i tre uomini parlavano albanese ed erano armati. Dopo aver chiesto ai lavoratori la consegna della motosega che stavano utilizzando e il tentativo di questi di darsela a gambe, i tre uomini armati hanno sparato alcuni colpi d'arma da fuoco. Un ragazzo di 21 anni, Nenad Markovic, e' rimasto ucciso, mentre il suo compagno, Damljen Bozic di 25 anni, e' stato ferito piuttosto seriamente. I tre uomini armati se ne sono poi andati convinti che entrambi i ragazzi fossero morti. La ricostruzione dell'accaduto e' stata fatta dal ragazzo sopravvissuto e da un altro lavoratore che ha assistito alla scena e che sembra sia stato maltrattato dai tre uomini mascherati. Ancora non e' ben chiaro il motivo per cui i tre uomini hanno aperto il fuoco contro i boscaioli, sta di fatto che la tragedia ha suscitato una forte preoccupazione sia tra i cittadini della regione dove si e' verificato l'incidente, che in tutto il Montenegro.
Il timore che possa accadere un conflitto sul tipo di quello macedone o della Serbia meridionale viene alimentato anche dai media locali. Tra i partiti Politici,l'SNP e' tra quelli che credono all'esistenza di "piani segreti per una totale dominazione degli albanesi in Montenegro". Come riporta il quotidiano Vijesti (28-8) in prima pagina, il portavoce del SNP, Dragan Koprivica, ritiene che il Montenegro potrebbe godere dello stesso destino riservato alla Macedonia. Secondo Koprivica i molti turisti di nazionalita' albanese giunti quest'anno in Montenegro non sono solo semplici turisti. Molti comprano case e pianificano una dominazione del Paese. L'SNP non perde tempo nel rinfacciare al governo di non riconoscere tale possibilità e chiede le dimissioni della presidentessa della Camera, Vesna Peovic (Partito Liberale).
Decisamente differenti sono le reazioni del partito di governo, l'SDP. I socialdemocratici, per voce del vicepresidente Ranko Krivokapic, ritengono che gli albanesi non abbiano mai manifestato l'intenzione di dividere il Montenegro. Krivokapic ha aggiunto, inoltre, che il Montenegro e' un ambiente sicuro per tutti coloro che desiderano viverci e lavorare. Il paese, secondo il vicepresidente dell'SDP, e' pronto a scusarsi con coloro che sono rimasti vittime dei conflitti, ma al tempo stesso e' anche pronto a perseguire coloro che gettano odio tra la gente. Parole rassicuranti provengono anche dal ministro per la difesa dei diritti dei gruppi etnici e nazionali, Gzin Hajdinaga. Il ministro ha, infatti, rigettato la possibilita' dell'estensione del conflitto dalla Macedonia al Montenegro, affermando che gli albanesi in questo paese sono fedeli cittadini. Hajdinaga ha ribadito che non esiste alcuna informazione riguardo la premeditazione di un attacco di albanesi kosovari verso il Montenegro e ha aggiunto infine che gli albanesi "cercano di ottenere i propri diritti solo attraverso le istituzioni legali" (Vjiesti 28-8).
Nonostante ciò, una certa preoccupazione tra i cittadini per la propria sicurezza rimane. Soprattutto in quei comuni come Plav e Murino, molto vicini alla frontiera col Kosovo. Secondo quanto riporta il quotidiano "DAN" (28-8) parecchi abitanti ortodossi avrebbero, durante gli ultimi mesi, venduto le proprie abitazioni ad acquirenti di fede musulmana, per scappare dal pericolo imminente. Tuttavia come spiega il sindaco di Plav, Orham Rezepagic, in tutto ciò non vi e' nulla di strano e poi gli appartamenti (del valore di circa 1.000 marchi al metro quadro) non vengono venduti per la paura o per la difficolta' della convivenza interetnica, bensì si tratta di appartamenti che un tempo erano statali. Secondo il sindaco di Plav non esiste alcun problema di carattere etnico. Di parere decisamente contrario e' il presidente dell'OO SNP di Plave, Branislav Otasevic, che ritiene la vendita degli appartamenti una causa diretta della paura che i cittadini provano riguardo la propria sicurezza e la possibilità che possa accendersi un conflitto tra la popolazione di nazionalità differente. La cosa più probabile rimane tuttavia la vendita degli appartamenti per motivi personali, come la ricerca di un luogo migliore, con ovvie maggiori possibilità di lavoro e occupazione. Come si potrà intuire, spesso sono i media e i partiti che li sostengono, che tendono ad enfatizzare ed esasperare la situazione, alimentando la paura e i sentimenti di rivalsa tra la popolazione. Da tempo infatti gli albanesi vivono in Montenegro, soprattutto in quei luoghi di confine con il Kosovo e l'Albania. Vero e' che durante le scorse elezioni presidenziali (1997) molti albanesi votarono per Djukanovic e tuttora molti albanesi appoggiano l'idea indipendentista della coalizione di governo. Pertanto e' forse proprio per questo che il maggior partito di opposizione l'SNP appunto, strilla a viva voce il pericolo di una Grande Albania e la totale destabilizzazione del Montenegro.
Un'ultima nota riguardo questa questione viene offerta dal numero del 17 agosto del settimanale Monitor, il quale riporta una ampio articolo proprio sulla paura che si sta sviluppando nel paese e sui connessi sentimenti anti-albanesi. L'equipe di Monitor che ha svolto il reportage nelle zone abitate dalla popolazione albanese, quali Plave, Gusinje e Ulcinj, non sembra aver trovato alcuna traccia dei terroristi, ma piuttosto una normale situazione di convivenza tra montenegrini e albanesi. Così per alcuni la presenza degli albanesi e' insidiosa e viene percepita come fonte di minaccia, mentre per altri non crea affatto alcun problema. I giornalisti di Monitor hanno deciso di fare questo sopraluogo dopo che i quotidiani "Glas Crnogoraca" e "DAN" avevano pubblicato alcuni articoli riguardanti l'esistenza di graffiti sui muri indicanti la presenza dell'UCK. Di queste scritte l'equipe di Monitor non ha trovato alcuna traccia, ciò che invece i reporter hanno visto, nella parte nord del paese, e' stata una scritta sul muro che dice "questa e' Serbia", mentre nei pressi della moschea un'altra scritta dice "questa e' turca". Le tensioni anti-albanesi sembrano pertanto una sorta di montatura (e cosi' vogliamo sperare!), che si verificano in particolari momenti di incertezze politiche, alla vigilia delle elezioni per esempio o durante decisioni politiche di un certo rilievo. In questi giorni e' in corso un serrato dibattito tra il governo e l'opposizione, in particolare tra il presidente Djukanovic e il leader dell'SNP Bulatovic, sulla definizione della legge per il referendum sull'indipendenza del Montenegro.
Occorre infine considerare che ad alcuni la presenza di turisti albanesi ha dato particolarmente fastidio e come dice un edicolante di Ulcinj: "per alcuni terroristi e turisti sono la stessa cosa, solo che siano albanesi". Purtroppo però dopo l'incidente a Cakor la situazione potrebbe anche compromettersi ulteriormente, minacciando una convivenza pluriennale. Speriamo si sia trattato di un semplice episodio isolato che non avrà ulteriori conseguenze e sviluppi.

L'accordo raggiunto in Macedonia non piace a tutti

26/06/2001 -  Luka Zanoni

Secondo quanto riportano le agenzie, sembrerebbe che proprio l'accordo, stretto tra i rappresentanti internazionali (NATO e UE) e i guerriglieri dell'UCK per la smilitarizzazione di Aracinovo, sia stato la miccia che ha scatenato l'assalto al parlamento di Skopje la notte scorsa Il governo macedone che inizialmente non si era dimostrato disponibile ad accettare l'accordo per il ritiro delle truppe dell'Esercito di Liberazione Nazionale dal villaggio di Aracinovo, ha dovuto infine cedere alla pressioni internazionali che minacciavano di bloccare il flusso di aiuti.
Occore però aggiungere che alcuni indizi, come la distribuzione di volantini minacciosi ad opera del macedone Paraesecrito 2000, così come la presenza di uomini in uniforme che hanno marciato sul parlamento, lascia pensare che si sia trattato di un'azione pianificata da tempo. Il folto numero di riservisti e agenti delle forze di polizia, armati e in uniforme, ai quali si sono uniti in seguito i civili, ha assaltato la sede del parlamento di Skopje. La protesta, iniziata durante la prima seduta degli incontri tra partiti albanesi e macedoni per cercare di trovare un'intesa politica che ponga fine alla crisi in corso da almeno quattro mesi, è sfociata con atti di violenza da parte dei manifestanti. Divelte le transenne la folla ha fatto irruzione nell'edificio del parlamento e grazie alla pressoché assenza del servizio d'ordine, i dimostranti hanno iniziato a saccheggiare alcuni uffici dell'edificio, quando i politici presenti se ne erano ormai andati dalla porta di servizio.
Il culmine della protesta nazionalista macedone è stato poi raggiunto quando i dimostranti entrati nel parlamento hanno strappato la bandiera macedone che è stata sostituita con il vecchio vessillo nazionale con il sole a sedici raggi, proibito dal 1993 al termine di un lungo contenzioso con la Grecia. I manifestanti tra urla e spari hanno infine esortato il presidente macedone e il capo del governo a presentarsi di fronte alla folla per "dare spiegazioni sull'accordo con i terroristi albanesi".
Civili macedoni avevano inoltre bloccato il convoglio di 15 autobus con il simbolo dell'UN e alcuni camion della compagnia americana "Brown and Root" con i quali più di cento tra guerriglieri albanesi armati e civili hanno lasciato Arcinovo. Il convoglio è riuscito a passare solo dopo che alcuni militari statunitensi hanno sparato in aria alcuni colpi di fucile.

Si aggrava la crisi macedone

26/06/2001 -  Luka Zanoni

La crisi macedone si acuisce di giorno in giorno. Dalla seduta di ieri del vertice europeo dei ministri degli esteri a Lussemburgo non è uscito un granché. Da parte macedone era presente solo il ministro degli esteri Ilenka Mitreva, mentre ci si aspettava la presenza del premier di governo o del presidente Trajkovski. La Mitreva ha dichiarato che passi avanti si stanno facendo, nonostante le critiche e le riserve della presidentessa di turno per la UE Anna Lindh.
La parte albanese era presente col vice rappresentante dell'Uck per l'Europa, Florin Ramadani, che ha dichiarato "Noi vogliamo la Nato in tutto il territorio macedone, ma senza creare zone cuscinetto che dividano le due comunità". Più volte, sostiene Ramadani, l'UCK ha esortato le forze di sicurezza macedoni a cessare il fuoco, ma - aggiunge il rappresentante - l'esecutivo di Skopje "ha preferito usare il modello Milosevic".
L'insoddisfazione dei ministri della UE è stata espressa nella minaccia di cessazione degli aiuti finanziari alla Macedonia. Si parla di circa 80 milioni di euro, dei quali 30 sono già stati stanziati. La preoccupazione dei quindici ministri è motivata dall'impiego degli aiuti finanziari come approvvigionamenti militari. Gli aiuti erano stati stanziati dopo la firma dell'Accordo di associazione e stabilizzazione con la UE, da parte della Macedonia, primo paese balcanico a sottoscrivere tale tipo di accordo.
In conclusione, i ministri europei addossano una pesante responsabilità a tutti i leader politici del paese ed invocano il rispetto dell'accordo sulla smilitarizzazione di Aracinovo e sul ritiro delle truppe dell'UCK, ciò inoltre "deve essere seguito rapidamente da un cessate il fuoco per l'intero paese e da ulteriori progressi nelle misure di rafforzamento della fiducia". Tutto ciò verrà fatto con la presenza di mediatori internazionali e a tal proposito è stato nominato l'ex ministro della difesa francese Francois Leotard come rappresentante permanente dell'UE a Skopje, sotto le direttive di Javier Solana.

Si intensificano i segnali di guerra civile in Macedonia

14/06/2001 -  Luka Zanoni

I segnali di un'imminente guerra civile sembrano esserci ormai tutti. Non solo per il fatto che le agenzie di ieri ed oggi riportino la dizione "guerra civile" nei loro testi, ma anche e soprattutto per le parole che nelle scorse ore sono state espresse dagli uomini politici coinvolti nella crisi. A tutto ciò occorre aggiungere il panico della popolazione che già avverte il precipitare della crisi.
Forse rimane ancora una flebile speranza nell'incontro diplomatico di oggi e domani a Ohrid, in Macedonia. Anche se una sensazione condivisa dice che la crisi macedone ormai scivola su un pericoloso piano inclinato.

La divisione del governo macedone

La spaccatura all'interno dell'ampia coalizione del governo macedone sembra sul punto di saltare. Il premier di governo Georgievski, sempre più orientato verso la dichiarazione dello stato di guerra, è in aperto conflitto con il presidente Trajkovski. Quest'ultimo, ampiamente appoggiato dalla comunità internazionale, cerca di sganciarsi dall'ombra del primo ministro per poter riprendere in mano la crisi interna ed uscirne in qualche modo vincitore, proprio quando la popolarità di Georgievski è in calo continuo e i suoi governi sono sempre meno stabili, senza contare poi che "il gruppo parlamentare del suo partito continua a disgregarsi a favore di altri gruppi parlamentari, mentre il ministro degli interni, Ljube Boskovski, che è stato portato a tale funzione da Georgievski come proprio 'soldato di partito' fidato, ha dichiarato che lo stato di guerra non è necessario" (D. Nikolic, La macedonia sta scivolando verso la guerra civile?, Danas, 9-10 giugno2001, tr.it. Notizie Est 447).
L'assenza di una vera comunicazione tra Georgievski e i leader albanesi, presenti nella coalizione di governo, uniti ai tentativi di boicottaggio del presidente Trajkovski da parte del primo ministro macedone, sono elementi che offrono la difficoltà strutturale del quadro entro il quale è collocata la crisi macedone. Pertanto in una situazione in cui "il vertice dello stato è 'amorfo'" sembra che sia difficile definire in tempi brevi un piano per la soluzione della crisi. Va aggiunto infine che l'esaurimento dei mezzi finanziari macedoni desta una certa preoccupazione. Sempre Danas riferisce che "finora la guerra è costata circa 350 milioni di marchi, cioè un milione di marchi al giorno", preannunciando che con il proseguimento del conflitto verranno drasticamente diminuiti stipendi e pensioni. Tutto ciò in previsione di un aumento delle forze di sicurezza macedoni, che dovrebbero acquistare nuovi armamenti dall'Ucraina e dalla Jugoslavia.
Trajkovski ha, tuttavia, proposto un piano di soluzione della crisi, che, a ben guardare, sembra ricalcare il piano avanzato tempo fa dall'ambasciatore Frowick. Il piano in cinque punti, da realizzare nell'arco di circa 45 giorni, mira, soprattutto nelle prime due fasi, alla soluzione militare addolcita dalla promessa di amnistia di quei combattenti non volontari che non si sono macchiati di crimini. Un commento di Andrea Ferrario, curatore di Notizie Est, definisce il piano "più un pietoso velo per coprire la mancanza di prospettive dei vertici del potere macedone, che un documento in grado di fornire una base, anche solo generica, per una soluzione della crisi nel paese" (Notizie Est 447).
Una cosa sembra certa, e cioè che il piano di Trajkovski ha tutta l'aria di essere "l'ultima chance" del dibattimento "politico", prima di procedere ad un intervento radicale e gettare il paese nella guerra civile (cfr. Saso Ordanoski, Trajkovski's "last chance plan", IWPR, 13 june 2001). Acquista, infine, rilievo il fatto che - come comunica l'agenzia serba Beta, su informazione del portavoce della polizia macedone Stevo Pendarovski - "a Skopje sia iniziato l'armamento dei maschi militarmente abili, al fine di accelerare la mobilitazione delle pattuglie dei riservisti della polizia, in caso di attacco degli estremisti albanesi".

L'intervento internazionale

La possibilità di un intervento internazionale è riecheggiata nelle parole del presidente francese Chirac e in quelle del consigliere del capo della diplomazia greca Alexis Rondos. Durante il summit della NATO che si è tenuto ieri a Bruxelles, il presidente francese ha detto, riferendosi alla crisi macedone, che "non bisogna escludere qualsiasi forma di azione necessaria a fermare questo sviluppo" (Sense). Solo poco dopo Chirac si è premurato di ribadire che "non stava pensando ad un eventuale azione militare" e che eventualmente la considererebbe come "l'ultima risorsa". Ma anche le parole di Blair sembrano andare nella direzione di un intervento. Secondo quando riportato dalla Reuters, Tony Blair ha detto che "è meglio creare dei preparativi e stabilizzare la situazione piuttosto che aspettare e lasciare che la situazione si deteriori" (Reuters 13 giugno 2001). L'agenzia inglese sottolinea inoltre che Francia e Gran Bretagna sono i primi promotori del piano della UE per creare una propria forza militare di reazione rapida.
Tuttavia anche la Grecia, come abbiamo detto, avanza ipotesi di intervento. Secondo Alexis Rondos l'azione della NATO in Macedonia non la si dovrebbe immaginare come "una grande campagna sul tipo di quella in Kosovo", né come una qualsiasi invasione. "Per quanto riguarda la presenza militare non richiederebbe un gran numero di persone. Si tratterebbe di un piccolo gruppo di militari ben addestrati, che rappresenterebbero la comunità internazionale in senso militare. Tale presenza militare garantirebbe il rispetto del cessate il fuoco, il disarmo dei rivoltosi e la sorveglianza sulla loro ritirata. Tale sviluppo offrirebbe lo spazio e il tempo per un accordo politico inter-macedone" (Sense, 13 giugno 2001). Fonti dalla Bulgaria riportano inoltre che, dopo la decisione della riunione del consiglio di sicurezza nazionale, sono già in corso nel paese esercitazioni di truppe speciali bulgare anti terrorismo (Sega, Monitor).
Ma le pressioni internazionali e macedoni sembrano aver favorito la crescita, anche nel Congresso americano, di un'ala favorevole all'intervento in Macedonia. Come riporta l'Ansa "senatori e autorevoli 'opinion makers' hanno oggi chiesto che gli Stati Uniti prendano l'iniziativa di cercare una soluzione politica alla crisi macedone, se necessario con il ricorso a truppe della Nato e anche americane. Il senatore Joseph Biden presidente della commissione del Senato per gli affari esteri dedicata alla crisi in Macedonia e alla presenza degli Usa nella Regione ha detto che: "Il nostro Paese deve aumentare il proprio impegno. La posta in palio in Macedonia è semplicemente troppo alta perché possiamo scegliere di avere un ruolo di secondo piano. Che piaccia o no, solo gli Stati Uniti hanno la credibilità politica e militare presso tutti i gruppi etnici per gestire con successo e risolvere la crisi nei Balcani" (Ansa 13 giugno 2001).

La popolazione nel panico

I quotidiani bulgari affermano che sono in corso allestimenti di capi profughi nel paese, per far fronte all'escalation di un intervento militare (Sega, Monitor). La preoccupazione della popolazione civile in Macedonia è altissima. Le rincorse ai generi alimentari, alle pompe di benzina e ai farmaci, sono indici sintomatici del forte odore di guerra che si avverte nella regione. Non sono pochi quelli che iniziano a lasciare il paese, senza aiuti dal governo o dalle agenzie internazionali. Migliaia di persone, insieme albanesi e macedoni, stanno lasciando Skopje, come conseguenza all'arrivo dell'UCK nei villaggi attorno alla capitale. La popolazione di Aracinovo, Vrnjarce, Stajkovci, tutti villaggi nei dintorni della capitale, così come i residenti di Cento e degli altri sobborghi di Skopje stanno lasciando le proprie abitazioni ( Gordana Stojanskova Icevska, "Skopje braced for war", IWPR 13 june 2001). L'UNCHR ha fatto sapere che dall'8 giugno presso la frontiera di Blace, fra il Kosovo e la Macedonia, è stato stimato un flusso di 12.00 persone, in prevalenza donne e bambini, verso la regione del Kosovo.
Nonostante i ripetuti inviti da parte del governo macedone rivolti a tranquillizzare la popolazione - "i cittadini non dovrebbero preoccuparsi della sicurezza della città di Skopje e delle sue vitali facilità perché sono assicurati" ha detto il portavoce del governo Antonio Milososki, riferendosi alle minacce fatte nei giorni scorsi dal comandante dell'UCK, Hoxha, circa la possibilità di colpire la capitale macedone - la psicosi da guerra si è già innescata.